core e
salutarla). Vi saluto centomila migliaia di volte, Vostra Signoria
illustrissima, Vostra Altezza, Vostra Maestá.
ARMELLINA. Oh, quanti titoli! vignarolo.
VIGNAROLO. Non sète voi la mia signora, la mia regina e la mia
imperadora?
ARMELLINA. Che cosa mi porti, vignarolo?
VIGNAROLO. Rispondi al saluto prima, poi mi chiedi che porto.
ARMELLINA. Rispondi tu prima a me: se dici che son la tua
imperadora, ti posso comandare.
VIGNAROLO. Porto il presente, mezzo al patrone e mezzo a te; e se ti
piace tutto, piglialo tutto.
ARMELLINA. Mi raccomando.
VIGNAROLO. Fermati un poco, ché son venuto a posta dalla villa per
vederti...
ARMELLINA. E mò non m'hai veduta?
VIGNAROLO. ... e parlarti ancora.
ARMELLINA. E mò non m'hai parlato?
VIGNAROLO. Lasciami parlare.
ARMELLINA. E mò che fai?
VIGNAROLO. Ragiono pur, ma vorrei....
ARMELLINA. Che vorresti?
VIGNAROLO. Sí sí, sai che vorrei? che mi volessi bene.
ARMELLINA. Io per me non ti vo' male.
VIGNAROLO. So ben che non mi vuoi male: pur non mi vuoi bene.
ARMELLINA. Che vorresti dunque che facessi?
VIGNAROLO. Tôrmi per marito.
ARMELLINA. Son poverella, non ho dote da darti.
VIGNAROLO. Mi basta la grandezza de' tuoi costumi e della tua
natura.
ARMELLINA. Non vo' che alcuno mi pigli: vuo' stare come sto.
VIGNAROLO. Se vuoi stare come stai, diventarai salvatica.
ARMELLINA. Come?
VIGNAROLO. La vite come sta sola cade in terra e s'insalvatichisce: la
donna è la vite, l'uomo è il palo; se non ha il palo dove s'appoggia, sta
male.
ARMELLINA. Impalato possi esser tu da' turchi!
VIGNAROLO. Ah, traditora, perché mi maledici?
ARMELLINA. Burlo cosí con te.
VIGNAROLO. Ed io me lo prendo da dovero. Io non amo al mondo
altri che te. Tutto il giorno piango e mi tormento, e per chi, ah? per te,
lupa, cagna che ti mangi il mio cuore; e tanto potrei star senza amarti
quanto far volar un asino. Se tu vuoi essere mia moglie, dal primo
giorno ti fo donna e madonna di tutte le mie robbe, te le porrò in mano
ché le maneggi a tuo modo. Beata te, se tu farai a mio modo!
ARMELLINA. Io vo' che tu facci a mio modo.
VIGNAROLO. Facciasi, se non al mio, al tuo modo: tutto torna in uno,
purché non resti di fuora. Ma io vorrei una grazia da' cieli.
ARMELLINA. Ed io un'altra.
VIGNAROLO. Che vorresti?
ARMELLINA. E tu che vorresti?
VIGNAROLO. Il direi, ma temo che ti corrucci.
ARMELLINA. Non me corruccio: dillo.
VIGNAROLO. Dammi la fede.
ARMELLINA. Eccola.
VIGNAROLO. Oh che mano pienotta e grassotta!
ARMELLINA. Dimmi, che vorresti?
VIGNAROLO. Vorrei esser quel piston che pista nel tuo mortaio.
ARMELLINA. Ed io vorrei che, quando ho fatta la salsa, mi leccassi il
mortaio. Ma vo' partirmi.
VIGNAROLO. S'è partita, la vitellaccia.
SCENA II.
PANDOLFO, VIGNAROLO.
PANDOLFO. (Quel furfante di Cricca ha preso tanta paura di quelle
coltellate, che non vuole lasciar trasformarsi in Guglielmo in conto
veruno: ho pensato al vignarolo, ma non ho per chi mandarlo a
chiamare).
VIGNAROLO. Padrone, buon giorno!
PANDOLFO. O vignarolo, che mai giungesti a miglior tempo!
VIGNAROLO. «Come cavallo magro ad erba fresca».
PANDOLFO. Ho tanto bisogno di te che non ne ho avuto altrettanto in
vita mia; e se tu vuoi servirmi, tu sarai la mia ed io la tua ventura.
VIGNAROLO. Eccomi per servirvi.
PANDOLFO. È giunto qui un astrologo che transforma gli uomini in
altre persone. Se tu vuoi lasciarti transformare in un mio amico, ti
lascio tre annate dell'affitto che mi rendi della tua villa.
VIGNAROLO. E se mi transformo in un'altra persona, che mi servirá
quell'utile? lo farai a quello, non a me.
PANDOLFO. Tu non sarai transformato se non per ventiquattro ore, e
poi ritornerai come prima.
VIGNAROLO. E chi m'assicura che torni come prima? ché
transformandomi si perde la persona mia, non sarei piú in calendario e
non restarebbe segnale al mondo che vi fosse stato. No no.
PANDOLFO. Non è peggio al mondo che avere a fare con animalacci
come tu sei: «se li preghi s'insuperbiscono, se li bastoneggi s'indurano»;
non si sa come trattar con loro, razza grossolana! Farò seco come si fa
con i cani: che, per fargli piacevoli e che faccino a modo de' padroni,
non se li dá da mangiare e si pigliano con la fame.
VIGNAROLO. Almeno, se morirò di fame, morirò quel che sono; ma
se mi trasformo, venerò in fumo, in vento.
PANDOLFO. Chi non cerca migliorare vive sempre misero e meschino,
e non val per sé né per altri. Sai che differenza è fra un savio e uno
ignorante?
VIGNAROLO. No.
PANDOLFO. Che il savio mangia bene, beve meglio, ben vestito e
sempre a spasso; l'ignorante, sempre scalzo, nudo e morto di fame e di
sete, e sempre stenta e fatica: perché il savio conosce l'occasione di far
robba, si mette a pericolo una volta per
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