Larte di prender marito | Page 2

Paolo Mantegazza
bambina era divenuta una donna.
Nella notte dormì poco e male. Nel sonno agitato, febbrile, sognò che anch'essa partiva per un lungo viaggio, e un giovane bello e innamorato la baciava sul predellino e così lungamente, che il bacio non si distaccava più dalle sue labbra.
E il treno partiva rapido, rumoroso, fulmineo, mentre il giovane, non avendo avuto tempo di scendere, l'accompagnava. nella corsa, senza distaccare mai le labbra dalle sue.
Essa ne era sgomenta, temeva un disastro e gridava:
--Scendi, scendi....
Ma il giovane non poteva scendere e via via il treno correva sempre più impetuoso; e i baci seguivano ai baci e le grida dì spavento non li interrompevano, facendo coro al fremito delle labbra.
Emma allora si svegliò con un grido così angoscioso e alto che fece svegliare la mamma, che accorse al suo letto.
Emma era seduta, coi capelli disciolti, sulle spalle, cogli occhi spalancati, tutta coperta di sudore.
--Che cosa hai, che cosa ti è accaduto mia figliuola, mio tesoro?
--Nulla, mamma mia, non lo so....
E piangeva e rideva in una volta sola.
Acceso il lume, la mamma la guardò curiosa, trepidante, e Emma a quello sguardo arrossì, come se avesse commesso un peccato, vergognosa di una emozione nuova di voluttà e di strazio, che avea provato nel suo primo sogno d'amore.
Nascose il capo sulle spalle della mamma, ridendo, singhiozzando, tremando tutta; mentre gli ultimi brividi di un amore senza peccato le facevano vibrar la pelle, come se fosse scossa da una corrente elettrica.
--Mamma, perdonami, se ti ho spaventata.... sognavo non so che cosa....
Per la prima volta taceva qualcosa a sua madre; anzi mentiva.
Quel bacio sognato o ricordato era per lei una colpa.
Emma era da bambina divenuta una donna....

CAPITOLO SECONDO.
Libri e fantasmi.--Sogni e realtà.
Quella notte era passata e dopo quella molte e molte altre, ma Emma non era più la fanciulla lieta, spensierata, vagabonda di prima.
Non giuocava più al cerchio in giardino, non saltava più per le camere, non cantava, nè canterellava più.
Il pianoforte non era più aperto che all'ora della lezione, e rarissime volte l'apriva di tarda sera, quando era sola e per suonare le cose più tristi del Chopin.
Compariva a un tratto davanti alla mamma dopo essersi rinchiusa per ore nella sua camera e aveva gli occhi rossi....
E la mamma:
--Ma che hai, figliuccia mia? Tu hai pianto.
--No, mamma, ma perchè piangere? Io son felice...--e poi, quasi spaventata di queste parole, rideva piangendo e si asciugava gli occhi, girando sopra sè stessa e agitandosi:
--Sono i nervi, sono i nervi.... Ho sempre canzonato le mie amiche maggiori di me di qualche anno, quando mi dicevano di averli, ed ora, ora li ho anch'io.... Mamma, perdonami....
--Ma non ho nulla, mia cara, mio tesoro, da perdonarti,--e l'attirava a sè collo sguardo, colle braccia e se la stringeva al cuore.
E allora piangevano ridendo tutte e due e la burrasca era finita; ma la mamma confidava al babbo (che era uno dei medici più sapienti e più celebri della città) le ansie che le davano i nuovi turbamenti di Emma.
Il medico babbo alzava le spalle e crollava il capo ridendo:
--Sono gli isterismi della pubertà.
Due brutte parole, che sanno di clinica e di anatomia in una volta sola, con cui noi altri medici giudichiamo brutalmente tutta una rivoluzione fisica, morale, intellettuale, che trasforma una fanciulla in una donna; tutto un poema di virtù nuove e di nuovi vizi; di impeti passionati e di languori ineffabili, di desiderii senza forma, e di amori senza amanti; tutto un caos incomposto, titanico, che domanda al cielo un creatore, agli angeli una voce che dica: tu sarai una madre; o all'inferno un grido, che esclami; tu sarai un demonio.
* * *
Emma leggeva molto, leggeva sempre, ma dal giorno in cui aveva veduto baciarsi quei due alla stazione, i libri prediletti non eran più quelli di prima o in questi cercava altre pagine.
Leggeva e rileggeva il Petrarca, e di questi soprattutto i sonetti d'amore. Nel Tasso gustava gli amori di Tancredi e di Clorinda. Adorava Paolo e Virginia, ma avrebbe voluto un Paolo ancor più innamorato e una Virginia più eroica.
Del Dante non leggeva più che il Canto V. L'aveva tanto letto, che lo sapeva tutto a memoria, ma preferiva rileggerlo, parendole allora di assistere alla scena del grande peccato.
Ed essa stessa credeva di peccare, leggendo quelle pagine immortali; e al verso
La bocca mi baciò tutta tremante
si sentiva scorrere per le vene un fuoco, vibrare su tutta la pelle un brivido, e più d'una volta chiudeva il libro e lo gettava lontano da sè.
Una volta invece aveva a un tratto con furore baciato quel bacio, e su quelle pagine galeotte aveva lasciato l'impronta delle sue labbra.
Il bacio di Paolo le faceva sentire l'eco di quell'altro dato dalla cugina al cugino alla ferrovia; quel bacio, che era divenuto per lei l'incubo di tutte le ore, il sogno di tutte le notti.
Dopo una di queste scene
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