La vita sul pianeta Marte | Page 8

Giovanni Virginio Schiaparelli
perchè mentre il
giorno terrestre solare è di 24 ore, il giorno solare di Marte è di 24 ore e quaranta minuti
prossimamente. Circa l'andamento delle stagioni e delle lunghe giornate e notti del polo
vi è questa differenza, che le nostre stagioni durano tre mesi ciascuna, quelle di Marte
hanno una durata poco men che doppia, di 171 giorni in media: e i giorni e le notti del
polo, che presso di noi sono di sei mesi a un dipresso in Marte durano per un medio
undici mesi[8]. Tal differenza è dovuta a questo principalmente, che l'anno di Marte è di
687 giorni terrestri, mentre il nostro è di soli 365.
Così stando le cose, è manifesto, che se le suddette macchie bianche polari di Marte
rappresentano nevi e ghiacci, dovranno andar decrescendo di ampiezza col sopravvenire
dell'estate in quei luoghi, ed accrescersi durante l'inverno. Or questo appunto si osserva
nel modo più evidente. Nel secondo semestre dell'anno decorso 1892 fu in prospetto la
calotta del polo australe; durante quell'intervallo, e specialmente nei mesi di Luglio e
d'Agosto, anche osservando con cannocchiali affatto comuni era chiarissima di settimana
in settimana la sua rapida diminuzione; quelle nevi (ora ben possiamo chiamarle tali), che
da principio giungevano fino al 70.° parallelo di latitudine, e formavano una calotta di
oltre 2000 chilometri di diametro, si vennero progressivamente ritraendo al punto, che
due o tre mesi dopo pochissimo più ne rimaneva, una estensione di forse 300 chilometri
al maximum; e anche meno se ne vede adesso, negli ultimi giorni del 1892. In questi mesi
l'emisfero australe di Marte ebbe la sua estate; il solstizio estivo essendo avvenuto il 13
Ottobre. Corrispondentemente ha dovuto accrescersi la massa delle nevi intorno al polo
boreale; ma il fatto non fu osservabile, trovandosi quel polo nell'emisfero di Marte
opposto a quello che riguarda la Terra. Lo squagliarsi delle nevi boreali è stato invece
osservabile negli anni 1882, 1884, 1886.

Queste osservazioni del crescere e decrescere alterno delle nevi polari, abbastanza facili
anche con cannocchiali di mediocre potenza, diventano molto più interessanti ed
istruttive, quando se ne seguano assiduamente le vicende nei più minuti particolari,
usando di strumenti maggiori. Si vede allora lo strato nevoso sfaldarsi successivamente
agli orli; buchi neri e larghe fessure formarsi nel suo interno; grandi pezzi isolati, lunghi e
larghi molte miglia staccarsi dalla massa principale, e sparire sciogliendosi poco dopo. Si
vedono insomma presentarsi qui d'un colpo d'occhio quelle divisioni e quei movimenti
dei campi ghiacciati, che succedono durante l'estate delle nostre regioni artiche secondo
le descrizioni degli esploratori.
Le nevi australi offrono questa particolarità, che il centro della loro figura irregolarmente
rotondeggiante non cade proprio sul polo, ma in un altro punto, che è sempre press'a poco
il medesimo, e dista dal polo di circa 300 chilometri nella direzione del Mare Eritreo. Da
questo deriva, che quando l'estensione delle nevi è ridotta ai minimi termini, il polo
australe di Marte ne rimane scoperto; e quindi forse il problema di raggiungerlo è su quel
pianeta più facile che sulla Terra. Le nevi australi sono in mezzo di una gran macchia
oscura, che colle sue ramificazioni occupa circa un terzo di tutta la superficie di Marte, e
si suppone rappresenti l'Oceano principale di esso. Se questo è, l'analogia con le nostre
nevi artiche ed antartiche si può dire completa, e specialmente colle antartiche.
La massa delle nevi boreali di Marte è invece centrata quasi esattamente sul polo; essa è
collocata nelle regioni di color giallo, che soglionsi considerare come i continenti del
pianeta. Da ciò nascono fenomeni singolari, che non hanno sulla Terra alcun confronto.
Allo squagliarsi delle nevi accumulate su quel polo durante la lunghissima notte di dieci
mesi e più, le masse liquide prodotte in tale operazione si diffondono sulla circonferenza
della regione nevata, convertendo in mare temporaneo una larga zona di terreno
circostante; e riempiendo tutte le regioni più basse producono una gigantesca inondazione,
la quale ad alcuni osservatori diede motivo di supporre in quella parte un altro Oceano,
che però in quel luogo non esiste, almeno come mare permanente. Vedesi allora (l'ultima
occasione a ciò opportuna fu nel 1884) la macchia bianca delle nevi circondata da una
zona oscura, la quale segue il perimetro delle nevi nella loro progressiva diminuzione, e
va con esso restringendosi sopra una circonferenza sempre più angusta. Questa zona si
ramifica dalla parte esterna con strisce oscure, le quali occupano tutta la regione
circostante, e sembrano essere i canali distributori, per cui le masse liquide ritornano alle
loro sedi naturali. Nascono in quelle parti laghi assai estesi, come quello segnato sulla
carta col nome di Lacus Hyperboreus; il vicino mare interno detto Mare Acidalio, diventa
più nero e più appariscente. Ed è a ritenere come cosa assai probabile, che lo scolo di
queste nevi liquefatte sia la
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