La vita sul pianeta Marte | Page 5

Giovanni Virginio Schiaparelli
146 volte la distanza
della Luna. Mentre adunque in questa un telescopio di mediocre potenza è capace di
rilevare montagne, valli, circhi e crateri senza numero ed un'infinità di altri particolari
topografici[3], ben altro potere ottico sarà necessario, perchè si possano vedere
distintamente in Marte anche soltanto le configurazioni delle macchie principali.
L'esperienza ha fatto vedere che non è difficile di rilevar nella Luna, col soccorso dei
maggiori telescopi, un oggetto rotondeggiante di mezzo chilometro di diametro, o una
striscia di 200 metri di larghezza. In Marte si può arrivare a distinguere come punto un
oggetto rotondeggiante di 60 a 70 chilometri di diametro, e come linea sottile una striscia
di 30 chilometri di larghezza. Il corso di un fiume come il Po sarebbe facile a distinguersi
nella Luna su quasi tutta la sua lunghezza, ma nessuno dei maggiori fiumi della Terra
riuscirebbe a noi visibile in Marte. E mentre nella Luna una città come Milano (od anche
soltanto Pavia) sarebbe già un oggetto ben vidibile a noi, in Marte non potremmo sperare
di vedere neppure Parigi e Londra, ed appena con molta attenzione sarebbe possibile
distinguervi isole rotondeggianti della grandezza di Majorca, od isole allungate, grandi
come Candia e Cipro.
Non farà dunque meraviglia, che Galileo, i cui telescopi non superarono mai
l'amplificazione di 30 diametri, non abbia potuto fare in Marte alcuna scoperta. Primo ad
osservare con qualche sicurezza le macchie di questo pianeta fu il celebre Ugenio, che le
vide coll'aiuto di telescopi lavorati da lui stesso, assai più perfetti e più grandi di quelli di
Galileo (1656-1659). Pochi anni dopo, Domenico Cassini a Bologna (1666) non solo
riconobbe diverse macchie, ma dal loro rapido spostarsi sul disco fu condotto a scoprire
la rotazione del pianeta intorno ad un asse obliquo, a similitudine della Terra: dalla qual
rotazione definì la durata in 24 ore e 40 minuti. I telescopi usati da Cassini erano lavorati
in Roma dal più celebre artefice ottico di quei tempi, Giuseppe Campani, i cui lavori
godettero di un incontrastabile primato per quasi cent'anni, fino a che per opera di Short,
di Dollond e di Herschel tale vanto passò per qualche tempo all'Inghilterra. E con
telescopi di Campani fece Bianchini in Verona nel 1719 i primi disegni alquanto accurati
delle macchie di Marte, scoprendo in esse particolari abbastanza difficili, quale per
esempio la sottile penisola che nella carta annessa porta il nome di Hesperia. Verso la
fine del secolo scorso Herschel e Schroeter dallo studio delle candide macchie polari del
pianeta dedussero l'obliquità del suo asse di rotazione rispetto al piano dell'orbita,
quell'angolo, cioè, che per la Terra costituisce l'obliquità dell'eclittica, ed è poco diverso
nell'uno e nell'altro pianeta. Così fu determinato anche per i due emisferi di Marte il corso
periodico delle stagioni, e la legge delle variazioni dei climi, che tanta analogia mostrano

con le nostre.
Tutte queste osservazioni però non erano sufficienti a dare una descrizione completa della
superficie di Marte. Come vero fondatore dell'Areografia[4] dobbiamo considerare il
tedesco Maedler, il quale nel 1830, valendosi di un perfettissimo telescopio di Fraunhofer
(celebre ottico di Monaco, per cui opera il primato nella costruzione dei telescopi passò
verso il 1820 alla Germania), vide e descrisse le macchie del pianeta incomparabilmente
meglio che tutti gli astronomi anteriori. Maedler fu il primo a determinare con misure
bene ordinate la posizione di un certo numero di punti principali sulla superficie di Marte
rispetto all'equatore e ad un primo meridiano, che è quello notato zero sull'annessa carta.
[vedi figura tavola01.jpg]
[vedi figura tavola02.jpg]
Ordinando rispetto a questi punti le diverse particolarità topografiche riuscì a costruire la
prima carta areografica: la quale, comechè ancora incompleta e necessariamente limitata
a poche macchie principali, è tuttavia monumento onorevole della sua cura e diligenza, e
rappresenta per la descrizione di Marte quello che 2000 anni fa la carta di Eratostene fu
per la geografia terrestre. Questa carta per più di 30 anni fu non soltanto la migliore, ma
anzi l'unica; e soltanto verso il 1860 si cominciò a fare nello studio del pianeta qualche
progresso ulteriore, specialmente per le osservazioni di Secchi, Dawes, Kaiser, e Lockyer.
Da quell'epoca e specialmente a partire dalla grande opposizione del 1862 quei progressi
si vennero accelerando, ed a ciò contribuirono non poco i grandissimi telescopi, che negli
ultimi tempi gli ottici, specialmente quelli d'America, hanno imparato a costruire[5].
Dalla comparazione di tutte le nuove ed antiche osservazioni risultò come primo fatto
importante, che la forma e disposizione delle macchie del pianeta è invariabile nei suoi
tratti principali, com'è sulla Terra la distribuzione dei mari e della parte asciutta. Noi
possiamo, per esempio, riconoscere nei disegni di Ugenio (1659) il golfo appellato Gran
Sirte(vedi l'annessa carta); nei disegni di Maraldi (1704) il Mare Cimmerioe il Mare delle
Sirene; nei disegni di Bianchini (1719) il Mare Tirrenoe la
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