La trovatella di Milano | Page 3

Carolina Invernizio
con
cornice di rame dorato, un porta-abiti di ferro verniciato, compivano il
mobiglio della camera.
Maria entrò in punta di piedi e facendo con una mano riparo alla
fiamma della lucerna, si avvicinò ad uno dei letti e si pose a
contemplare il viso soave, sebbene appassito dagli anni, di una donna,
che dormiva profondamente, appoggiando il capo all'alto del capezzale,
sul braccio ripiegato.
Sul vago sembiante di Maria apparve un'espressione di tenerezza, di
contento.
Quel sonno calmo, quella respirazione dolce e misurata,
L'atteggiamento stesso tutto pace, rassicurarono la bella guantaia. Sua
madre nulla aveva sentito: ella poteva nasconderle la strana avventura
di quella notte.
Si ritrasse pian piano e deponendo la lucerna in un angolo, si dispose a
coricarsi.

CAPITOLO SECONDO.
Cuore di popolana.
Nel 1848, diciotto anni prima della scena raccontata, allorchè il popolo
milanese si sentì l'animo di scuotere il giogo austriaco, nelle gloriose
cinque giornate, anche le donne presero parte alla sollevazione,
mostrando come l'amore della libertà possa rendere anche i più deboli,
audaci ed invitti.

Fra quelle che più si distinsero, vi fu la Luigia Battistotti maritata Sassi,
la quale deposti gli abiti femminili, sotto le spoglie di fuciliere, corse
nelle vie a cercare il pericolo, incoraggiando ovunque, colla sua
presenza, i combattenti; la Giuseppina Lazzeroni, una bella giovinetta
che seguì a Ponte Vetero il fratello e combattè intrepidamente al suo
fianco, comunicando il suo ardore agli altri, facendo prodigi di valore;
infine Annetta Durini, che fu compagna al marito nelle barricate di
porta Tosa, ora Vittoria, dove il coraggioso popolano trovò la morte.
La moglie che se lo vide cadere ai piedi, non si abbandonò ad atti di
dolore, di disperazione: inginocchiatasi, baciò con rispetto quella fronte
crivellata di palle, tolse dal collo del morto una sciarpa inzuppata di
sangue, che nascose in seno, poi sorse animosa, ricominciando a
combattere.
L'idea di vendicare quel prode, che ella avea tanto amato, accrebbe la
sua energia, la fece comparire come trasfigurata. Annetta Durini aveva
oltrepassati i quarant'anni; ma la freschezza della carnagione, gli occhi
scintillanti, i denti bianchissimi, i capelli folti e neri, la facevano
apparire assai più giovine.
Indossava un abito corto, stretto ai fianchi opulenti, un corsaletto le
cingeva il busto scultorio; portava il cappello all'italiana; al collo teneva
un fazzoletto di seta negligentemente annodato, in mano la carabina,
alla cintura un pugnale ed una pistola.
A Porta Tosa, ebbe il cappello portato via dalle palle nemiche, per aver
difesa una famiglia, che stava per cadere in mano ai Croati; più tardi,
mentre confortava un moribondo, fu ferita alla nuca. Tuttavia non si
scompose e malgrado il sangue che le pioveva sul collo e sulle mani,
continuò il suo pietoso ufficio.
Durante le cinque giornate, Annetta non posò mai le armi; ma
allorquando gli Austriaci ebbero provato invano il ferro ed il fuoco
contro la città protetta da un santo diritto; quando tanto peso di forza
brutale, dovette cedere alla generosa audacia, all'eroismo dei prodi
milanesi, che con tanto sangue pagavano la loro libertà; la coraggiosa
popolana, affranta dalle fatiche, spossata da lungo digiuno, si ritrasse

alla sua abitazione, in una di quelle poche case di Porta Tosa, che non
erano state completamente devastate dalle fiamme e dal saccheggio.
Per la prima volta, dopo tanti giorni di lotta, di energia, Annetta
nell'entrare in quella casa fu assalita dallo scoraggiamento, da una muta
disperazione.
Ormai ella avrebbe cercato invano nelle sue stanze il volto adorato del
marito: non avrebbe più intesa la voce di lui, nè si sarebbero potuto
rallegrare insieme della vittoria ottenuta. Di più non aveva un figlio che
le ricordasse quelle care sembianze, un figlio in cui trasfondere tutto
l'amore che aveva portato all'eroico defunto. Rimaneva sola al mondo.
Salì le scale a stento, sentendosi piegare le gambe, cogli occhi velati
dalle lacrime. Ma ad un tratto ristette come sbalordita. Era giunta sul
pianerottolo e dinanzi al suo uscio, stesa nel vano, eravi una bambina di
forse due anni o poco più, di una bellezza angelica, vestita di bianco,
ma tutta bruttata di sangue, immobile, cogli occhi chiusi, come se fosse
morta.
Chi era? L'avevano uccisa su quella soglia? Vinto il primo moto di
raccapriccio, Annetta sollevò la fanciullina nelle sue braccia, accostò il
suo orecchio al cuore di lei e con un fremito di gioja indescrivibile, si
accorse che batteva ancora.
--Vive, la salverò!--disse la popolana con mirabile espressione di
entusiasmo, di risolutezza, dimenticando i proprii dolori in quella
nuova opera di carità.
Annetta portò la fanciullina sul letto e si mise a svestirla delicatamente,
per riscontrare se aveva qualche ferita sul tenero corpicino. Intanto non
potè a meno di rimarcare la biancheria finissima, l'eleganza degli
stivaletti, le calze di seta a trafori e sopratutto la colpì un bizzarro
medaglione d'oro, che raffigurava una testa da morto, appeso ad una
microscopica catenella
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