s'allungava tremando, perchè un nuovo soffio d'inquietudine passasse sulla mia anima e la increspasse.
Ma egli si rizzò.
--Avrai tu voglia di leggere?--mi chiese a bruciapelo, prima di allontanarsi.
Vedo ancora il suo sorriso ambiguo presto dileguato, soggiaccio ancora adesso a quel pauroso smarrimento che mi prese allora, quasi io mi fossi, per un attimo, affacciato a un abisso.
--Che significa questo?--esclamai, fissandolo, nella vertigine.
Egli rise un'ultima volta.
--Gli sprazzi del cognac!
E mi prese la mano, e me la strinse come in una morsa.
Oh perchè se io ebbi in quel punto il presentimento della catastrofe e l'istintivo impulso di cacciarmegli dietro e abbrancarmegli alle ginocchia gridando: ?Non ti lascio più!?--perchè non mi mossi?
Come impietrato stetti a sentirlo salire su per le scale, e aprir l'uscio della camera, e richiuderlo con dolcezza. Poi, come ogni rumore fu cessato, nell'ansietà del silenzio, mi feci da Giuseppe portare i giornali illustrati, e mi misi a sfogliarli, per distrarmi.
Fu forse dopo dieci minuti che scoppiò l'orribile tuono.
Giuseppe, che stava ordinando le seggiole, levò la faccia pallida, gridando:
--Ohimè cosa succede?
Ah il terror cupo di quella corsa nell'oscurità! E il raccapriccio mortale di quella vista! Lo squarcio nero della ferita dietro l'orecchio, il sangue, il vivo sangue che colava a lordare il cuscino e il lenzuolo; e quel roco lamento che gli usciva dalla bocca bavosa; e quell'occhio, soprattutto quell'occhio spalancato, fisso nel vuoto, vitreo!
Io non ebbi, subito, la forza di far nulla. Con le mani nei capelli, pazzo, giravo per la stanza supplicando Giuseppe che facesse presto, per carità, che prendesse questo e quell'altro, che non me lo lasciasse morire. Poi tornavo a lui. Posavo il candeliere a terra accanto al braccio che spenzolava fuori dell'orlo del letto, inerte; e chiamavo ?Pietro! Pietro!?, tra le lagrime. Ma egli non udiva. Non moveva quel braccio, non moveva quell'occhio, quell'afflittissimo occhio sbarrato.
Alfine tolsi dalle mani di Giuseppe le strisce di tela ch'egli aveva preparate; e mi curvai sul misero, e fasciai, tremando da capo a piedi, la ferita; e sentii nelle mie mani cadere e scorrere alcune gocce di sangue.
--Presto il dottore!--supplicai appena terminato.
Ma il pensiero di dover rimanere una mezz'ora lì nella casa abbandonata, flagellata dalla pioggia e dal vento; ed in quella camera, a quella luce fioca, davanti a lui, a mio fratello che agonizzava,--mi riempì di spavento.
--Dal dottore vado io!--proruppi.
E uscii.
E ridiscesi, ancora sotto la pioggia molesta la scala del giardino; e passai un'altra volta sotto a quel fanale ove mezz'ora dianzi egli s'era chinato a raccattare il cappello ridendo. E mi misi a fuggire con un brivido nella schiena, udendo alle mie spalle riecheggiare la lugubre risata.
Così raggiunsi il paese, attraversai la piazza allagata e deserta, mi internai per la stretta via bieca, e salii, trafelato, sfinito, a battere a quell'uscio.
--è mio fratello che muore!--proferii dinanzi alla vecchia che mi si presentò.--Dite al dottore che s'è ferito con un'arma da fuoco. Che non perda un minuto, per carità!
Ella andò; ed io rimasi lì solo, nell'ombra, appoggiato al muro, ad aspettare. E rividi la scena con una evidenza violenta. Chiusi gli occhi, raccapricciando. E rividi ogni cosa ancora. Il sangue che lordava il cuscino e gocciolava giù per il lenzuolo; lo squarcio della ferita nera, orrenda; e quell'occhio, quell'occhio soprattutto, spalancato, immobile, vitreo. Ed allora si rinnovò in me la mostruosa impressione che m'aveva percosso in cospetto del suicida.--Mi pareva che non quella mano, quella piccola mano innocente che spenzolava fuori del letto avesse vibrato il colpo e fatto l'atroce scempio: ma veramente una gigantesca mano nascosta nella tenebra e obbediente a una terribile arcana potenza vendicatrice.
Ma venne il dottore con un silenzioso saluto a liberarmi.
Muti scendemmo le scale, muti ci avviammo su per lo stradone: egli col solito suo passo tardo indolente: io costretto, fremendo, a frenare il mio che s'affrettava.
Pure svoltammo, lassù; e scoprimmo il fanale, e la macchia biancastra della villa, e la finestra illuminata e sconsolata.
Al nostro apparire Giuseppe che stava seduto appiè del letto si alzò e guardò verso noi come un reo che si lascia sorprendere.
Senza una parola, senza un cenno, senza respiro io tolsi il candeliere e lo levai alto perchè il dottore potesse esaminar la ferita. E, pur combattendo dentro di me, gettai un'occhiata sul sofferente; e osservai e conobbi la profonda alterazione avvenuta ne' suoi lineamenti. Soffocato dall'angoscia, avrei voluto gridare: ?è questo mio fratello??
Ma d'improvviso mi parve che quell'occhio, rispondendo a un mio sorriso velato di lagrime, si animasse e mi fissasse con una espressione di rimprovero e di dolore così intensa, così acuta, così lacerante, ch'io non potei sostenerla. Lasciai cader nelle mani di Giuseppe il candeliere, e mi cacciai in un angolo, col fazzoletto alla bocca.
Un secolo rimase il dottore curvo in quell'atto.
Quando si fu rizzato ed ebbe consegnata a Giuseppe la ricetta, io lo cercai con uno sguardo, muto, per interrogarlo, Ma egli tacque. Si postò
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