La rovina | Page 2

Angiolo Silvio Novaro
mie nuove tele: aveva risalutate le
antiche con lo stesso vergine entusiasmo d'una volta.
Ciò m'aveva intenerito, sollevato e abbattuto ad un tempo,
persuadendomi che il cuore di mio fratello era immutato per me, e che
quella profonda alterazione avvenuta nel suo spirito doveva avere una
troppo seria e dolorosa ragione.
Io avrei dato tutto quanto possedevo per poter penetrare in fondo alla
cara anima chiusa, e scoprire e toccare con mano la gran piaga che vi
doveva essere aperta; e medicarla.--Senza posa io mi affaticava intorno
alla scorza di quel duro enigma. Spiavo ogni atteggiamento, ogni moto
del desolato; e da ogni parola sua mi studiavo di trarre un qualche
senso riposto, quasi un filo da afferrare che mi guidasse per entro il
laberinto.

Ma come un cieco brancolavo nel buio, vanamente, disperatamente.
Il primo sospetto che mi s'affacciava era ch'egli soggiacesse a uno di
quei fieri scoramenti che spesso assalgono l'artista a mezza via; lo
colpiscono al cuore, lo stramazzano al suolo, e ve lo lasciano esangue,
quasi esanime. Qualche volta il colpo è tale che il misero, dibattendosi
in una tragica agonia, soccombe. Altre volte, raccogliendo in un
supremo atto di volontà le sue povere forze, egli riesce a rialzarsi e a
proseguir sorridente il cammino. Ma sempre una riga di sangue rimane
a segnarne la traccia....
In verità, da quando s'era incominciato a rabbuiare, mio fratello non
m'aveva parlato più mai della sua arte, nè dei suoi studi, nè de' suoi
progetti.
Non aveva più mai presa l'iniziativa d'una di quelle violenti discussioni
o letterarie o artistiche o filosofiche ch'egli soleva ricercare avidamente,
e nelle quali metteva tanto impeto, tanta gagliardia di passione, e tanta
voluttà.--Quando io m'era attentato di chiedergli cosa stesse
architettando di bello, m'aveva risposto:
--Sonnecchio!--con un sorriso senza luce che mi aveva stretto il cuore.
Eppure come mai? Come crederlo disanimato proprio allora che l'Arte
gli offriva tutte le sue rose sorridendo, e il successo lo innalzava agli
occhi del mondo e gli spianava la via?--Incontro al Sole, l'ultimo suo
romanzo, non era stato acclamato dalla critica italiana come la più
originale e forte opera letteraria dell'ultimo decennio? E un gran
giornale francese non aveva testè chiesto per le proprie appendici
Cristiana, la novella ch'egli aveva stampata otto anni prima da un
oscuro editore, mentre, incerto ancora, tentava i primi passi?
Evidentemente adunque io era fuori di carreggiata!
E mi toccava rifarmi da capo.--E immaginavo una passione d'amore:
una di quelle passioni che investono come un fulmine una esistenza, e
l'incendiano e la riducono in cenere. Oppure una di quelle passioni che
s'infiltrano lentamente nell'anima come un veleno, a goccia a goccia; e

la scavano, la rodono, la consumano nell'oscurità e nel silenzio.
Ma la mia povera testa qui si smarriva. I ferri aguzzi delle mie indagini
si esercitavan nel vuoto.--Poichè il più fitto velo circondava la vita
intima di Pietro; e i pochi fatti esteriori emergenti a' miei occhi e che,
logicamente coordinati, avrebbero dovuto sprizzare una luce
improvvisa gettandola per entro alle cavità del segreto, erano di per sè
altrettanti enigmi i quali concorrevano ad esacerbare lo stato
d'incertezza in cui io viveva sospeso e mi dibatteva.
Egli aveva incominciato con lo spezzare l'antica consuetudine delle
concordi passeggiate notturne,--uscendo dopo cena da solo, e
scendendo giù al paese, invece di seguitar per lo stradone, come un
tempo, la dilettosa salita.
Qualche volta anche era rientrato a notte molto inoltrata.
Io l'avevo aspettato sotto il mandorlo, immobile, ascoltando i lievi
murmuri della vallicella nel silenzio, e osservando i giuochi di luce e
d'ombra della luna tra le piante, che rischiarava come un sole il
giardino e il terrazzo, dall'alto del suo azzurro.
Al giungere di lui avevo finto di risvegliarmi improvvisamente, quas'io
mi fossi dimenticato là sul sedile, sorpresovi dal sonno. M'ero levato, e
gli ero andato incontro fregandomi gli occhi.
«Ancora qui?» m'aveva detto lui. E nulla lo aveva tradito: nè il tono
della frase, nè uno sguardo, nè un gesto.
In sèguito, a settembre, aveva fatto una gita a Napoli, a
rivedere--m'aveva detto--alcuni amici della prima giovinezza.--Io
l'avevo accompagnato a Genova; ero salito con lui sul vapore, e v'ero
rimasto fino alla partenza, sperando sempre di potermi decidere a
muovergli quell'unica domanda che mi premeva il cuore come un
macigno. Ma all'ultimo momento m'era mancata la forza. Ero disceso
nella lancia con un nodo nella gola, ed ero rimasto là ritto, a sventolar il
fazzoletto, mentre il vapore tra le lagrime fuggiva.

Una sola volta dopo d'allora m'ero creduto di poterlo riabbracciare
guarito. Ed era stato quando da Genova m'aveva scritto una lettera di
fuoco per narrarmi tutta la fascinatrice bellezza d'una Idea di Umanità e
di Giustizia che gli si era improvvisamente rivelata; e le maravigliose
visioni che da lei discendevano, e i sovrumani ardori di battaglia
ch'essa gl'infondeva nel sangue.
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