La notte del Commendatore | Page 9

Anton Giulio Barrili
di suo figlio,
era lui. Tornato indietro coll'ingegno fino ai primi elementi dello studio,
d'anno in anno si alzava con lui, cavando tesori di sapere dai fondi della
memoria, che ne erano forniti, come d'anfore e vasi i fondi della casa di
Arrio Diomede a Pompei.
Nicolino sentiva di essere amato grandemente dal babbo. Ma qualche
volta il suo spirito irrequieto si ribellava a quell'amore violento, che gli
sapeva di tirannico.
--Mio padre--pensava egli--mi crede una cima; e non è vero, ecco, io
non sono che un ciuco. Ho fatto male a strappare l'anno scorso il primo
premio. Ora, li ho a pigliare tutti. Che noia!--
Tra i molti spedienti immaginati da suo padre per fargli mettere amore
allo studio, c'era questo, che merita d'essere raccontato. Un giorno il
ragazzo era entrato nella camera paterna. Il signor Amedeo, che stava
riponendo alcuni volumi sugli scaffali di una piccola libreria, gli aveva
parlato così:
--Vedi, figliuol mio: quando avrai venticinque anni potrai leggere
anche tu questi libri. Adesso no; sei troppo giovine, e son libri che
fanno girare il capo ai ragazzi.--
Tanto bastò perchè a lui gli girasse subito. Ad ogni ora ronzava nei
pressi della camera: ora con un pretesto, or con un altro, c'entrava,
sbirciando il frutto proibito attraverso la custodia del reticolato di filo
di ottone. Ed oh meraviglia! Due giorni dopo quella tentazione, suo
padre aveva dimenticato la chiave nella serratura degli sportelli.
Indovinate già quel che avvenne. Il signor Nicolino die un giro di
chiave ed aprì. Ma poi, rimase lì perplesso tra il sì e il no, come quel
personaggio dell'Ariosto.

Faccio o nol faccio? Alfin mi par che buono Sempre cercar quel che
diletti sia.
S'intende che il ragazzo non pensò la cosa in versi, chè non aveva ancor
letto l'Orlando furioso; ma la pensò in prosa, che torna lo stesso. E finì
imitando il personaggio ariostesco; stese la mano e aggranfiò un
volume, anzi due, anzi tre, avendo cura di pescare in tre scaffali diversi,
e di allargare le file per modo, che la sua marachella non avesse a dare
nell'occhio. Poi, come il micio che ha rubato un pesce, o una costoletta
in cucina, e sa d'aver fatto una mala cosa, andò a rimpiattarsi in uno
stambugio, dove di tre nascose due, portando uno in saccoccia, per
leggere a suo bell'agio nelle ore più libere.
In questa guisa lesse, divorò tutti i libri che non avrebbe dovuto leggere
prima di venticinque anni. Ne aveva dieci; ne guadagnava quindici. Si
capisce, senza che io pure lo dica, che il signor Amedeo era diventato
d'una smemorataggine senza pari, e dei due giorni l'uno lasciava la
chiave nella toppa.
Non vorrei che i lettori mi pigliassero il signor Amedeo per un babbo
imprudente. Quei libri proibiti erano l'Iliade e l'Odissea, i sepolcri di
Ugo Foscolo e del Pindemonte, la Divina Commedia, la Gerusalemme
liberata la Basvilliana, le tragedie d'Alfieri, ed altri di quella fatta. La
storia poi abbondava; ed era tutta roba scelta e vagliata, non già
dall'Indice, ma dal buon senso, quel caposcuola che tutti sappiamo. Il
ragazzo non poteva avvedersene, ancora digiuno com'era; ma il fatto
sta che diede nella pania come un lucherino, e a furia di leggere, molte
volte senza capire, ma tratto al lecco della novità, si ritrovò ad essere
sulla via degli studi molto più innanzi dei compagni e della classe che
faceva. E già il nostro Nicolino tirava giù endecasillabi e ottonarii ad
orecchio, mentre i suoi compagni imbastivano a stento la solita morte
di Abele.
Ve la ricordate, o lettori, la morte di Abele? «Allora «lo snaturato
fratello cavò di tasca una pistola...». Oppure: «Abele abborriva dall'uso
delle armi e non «portava nemmeno un temperino per le penne...».
Oppure... Ma a qual pro' dirle tutte? Chi più ne ha più ne metta.

Ora, tornando al fatto nostro, quel babbo che seguitava a non avvedersi
dei continui trapassi dei suoi volumi dalla libreria allo stambugio, e
dallo stambugio alla libreria, ci aveva gli occhi d'Argo per tutto ciò che
il suo figliuolo scriveva. Ogni giorno gli era sopra; ogni giorno dava
un'occhiata ai quaderni.
--Vediamo un po; che cosa hai fatto quest'oggi?
--Ecco, babbo;--diceva il ragazzo, mostrando tutto vergognoso l'opera
sua.
Il babbo leggeva, leggeva tutto, senza perdonarla ad una virgola,
storceva le labbra, crollava il capo e faceva la copiaccia in due pezzi.
--Non va bene; fàllo da capo.
E Nicolino tornava a scrivere; indi, altra lettura e soventi volte altra
lacerazione del manoscritto.
--Ma dimmi, babbo, dov'è lo sbaglio?
--Da capo a fondo; non c'è niente di buono. Qualunque cosa tu abbia a
fare, il primo punto è di pensarci su molto. Pensaci, torna a scrivere, e ti
avverrà di fare meglio.--
In questa maniera, e senza pietose correzioni di penna, che sarebbero
tornate a danno degli
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