La gran rivale | Page 9

Luigi Gualdo
un bel giorno l'amore vero vi afferra, e allora
dimenticate completamente tutto ciò che non avrete mai creduto poter
dimenticare, le convenienze, le esigenze sociali di cui vi eravate fatto
un culto, non vi ricordate nemmeno più che esistono, e ciò che prima
era la follia ora vi sembra la saggezza.
Partirono: e quando furono soli nel coupè della diligenza, appoggiati
l'un contro l'altro, sentirono un'immensa gioia che loro inondava il
cuore. Attraverso ai larghi vetri che avevano dinanzi, vedevano i cavalli
che trottavano vigorosamente agitando in monotona cadenza i loro
sonagli, animati dall'allegro vociare del conduttore e dallo scoccare
della frusta; più in là la strada che serpeggiava come un nastro bianco
svolto sul suolo, a sinistra la montagna che s'innalzava quasi a picco,
tutta coperta di una vegetazione bruna e selvatica; a destra la valle

profonda e umida, attraversata da torrenti e ruscelli, sparsa di capanne e
di pascoli; più in là li alti monti spogli di vegetazione e coperti di rocce
e di scogli; più in alto ancora le cime bianche di perpetua neve che i
raggi morenti del sole tingevano di rosa, e che disegnavano nettamente
i loro contorni taglienti e bizzarri sul fondo grigio del cielo, sparso solo
qua e là di grandi nubi leggere, Il sole calava lentamente dietro le cime
della parte opposta, e mentre l'ombra invadeva tutto tristamente a poco
a poco, la gioia si alzava e cresceva nei loro cuori. Miravano lo
spettacolo sublime di quel tramonto in quel luogo superbamente e
selvaggiamente bello con l'occhio pieno di visioni degli amanti, e le
cose bellissime e illusorie dei sogni che loro attraversavano la mente si
univano alla splendida realtà di ciò che vedevano davvero. Essi si
sentivano felici di una felicità inapprezzabile e profonda; si sentivano
liberi come gli augelli che vedevano svolazzare qua e là tra il cielo e le
cime. Aspiravano con delizia quell'aura vivificante e vibrata delle Alpi,
come inebriati dal profumo acre e selvaggio delle eriche e dei pini, che
il vento della sera agitava e contorceva. Erano pieni di benevolenza
verso tutti; avevano perfino simpatia pel conduttore che ad ogni
fermata stendeva loro la ruvida mano con un sorriso, chiedendo la
mancia. E i cavalli trottavano, e i sonagli sonavano, e la frusta scoccava,
e il conduttore saliva, scendeva, gridava, cantava, e nel tramonto le
cime bianche si confondevano col cielo, l'aria si faceva di momento in
momento più fredda e più vibrata, il silenzio diventava profondo e
quasi solenne, i loro sguardi mandavano una luce ignota, i loro cuori
palpitavano di un gaudio sconosciuto--e nella valle non si vedeva più
che l'ombra.
Quella immensa gioia del primo momento, che da nulla poteva esser
turbata, durò per qualche tempo e poi cessò; e allora tutti i tristi pensieri
che infallibilmente la dovevano assalire, l'assalirono in folla. Era infatti
naturale che in quel primo momento di ebrezza non vi fosse posto nel
suo cuore nè per i rimorsi, nè per le paure dell'avvenire, nè per le
riflessioni amare; ma queste non tardarono a giungere. Non è possibile
perdere di un tratto la propria posizione, diminuire inevitabilmente
nella stima di molti, farsi quasi maledire dalla propria famiglia, sentirsi
dai più indulgenti compianta, senza che ne scaturisca un senso di dolore
e di scoraggiamento bastevole a imbrunire la felicità raggiante dell'ora

presente. E siccome tanto è più dolorosa la caduta quanto più dall'alto
si cade, così dopo quei primi tempi di gaudio imperturbato, subentrò
una tristezza profonda. Ma a poco a poco questa diminuì a sua volta e
dopo le brusche oscillazioni tra la gioia ed il dolore, tra la pienezza
della speranza ed il vuoto dello scoraggiamento, finalmente vi fu
equilibrio e nel suo cuore entrò la pace; il gaudio dell'animo suo fu
mitigato dalla umiltà della coscienza e sul suo viso si posò stabilmente
quella espressione di malinconia consolata di cui parlammo al
principio.
Essi viaggiarono molto nei primi tempi, e, come dissi, era facile
incontrarli da tutte le parti, ma scelsero poi per loro dimora Firenze.
Presero una piccola villa poco lontana dalla città; una piccola casa
modesta, tranquilla, piena d'ombra e di mormorio, che loro offriva la
pace e la solitudine della villeggiatura, e al tempo stesso tutte le
distrazioni di una città a pochissima distanza. Qualche amico di Alberto
veniva a trovarli talvolta, e più raramente qualche conoscenza che
avevano fatto. Ella accettava coraggiosamente ed umilmente la sua
posizione falsa, e non si curava senza affettazione della società dalla
quale ora era bandita. Il mondo che giudica male e capisce così poco,
questa volta giudicò meglio e capì qualche cosa; ed era tanta la
simpatia ch'ella ispirava involontariamente che venne rispettata. Il
piccolo circolo di amici che venivano ammessi nell'intimità della villa
l'ammiravano, le volevano bene, e quelli che non la conoscevano
credevano al bene che
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