un piovano, Ch'in chiavar monasteri ognialtro passa, Il qual fessi
menar suo cane à mano, Poi la rivescia sopra d'una cassa, Et glie lo mette in la vulva e ne
l'ano; Et stringendo 'l poltron la testa abbassa, Perche 'l fetore ammorba il can gentile De
l'oglio humano et de l'onto sottile.
Un miro d'oglio e di buttiro havea In corpo la Zaffeta a pena viva, Il qual di dietro e
dinanzi piovea Su i calcagni e su i piei con foggia schiva. Onde 'l piovan per lo suo can
chiedea Di quelle carezzine con che priva Sua Signoria i suoi morosi cari Di cervello,
d'honore e di dinari.
Ma perche 'l giorno ne vien à staffetta, Il gentilhuom che l'annontio 'l bel gioco In camera
entra, et via caccia con fretta Il piovan goffo, gaglioffo e da poco; Poi con una sua dolce
predichetta Riconforta Madonna Angiola un poco, Et le fa creder ch'un soverchio amore
È stata la cagion d'un tanto errore.
Havete (disse) voi persa la vita, Per ottanta con gratia chiavature? Hor sete voi la prima in
cio fornita? Per tutto 'l mondo son de le sciagure. Ci havete obligo assai, sendone uscita
Sana per tutto, benche grosse e dure Siano state le lancie ne la giostra, Eterna gloria à la
Signoria vostra.
L'Angela piange e dice: O sventurata, Come comparirai fra le persone? La mia grandezza
in tutto è ruinata. Son'io da strapazzar con un trentone? Monaca mi vo far per disperata,
Ne fin ch'io vivo piu farmi al balcone. Et cio dicendo il corpo le fa motto, Ond'ella ando
sospirando al condotto.
Nel render le borsette parse un frate, Che di minestre scaricasse 'l ventre, Et una squadra
d'anime non nate Convien che ne la bocca al condotto entre, In mandragole, in rane
trasformate, In scorpioni, in tarantole; e mentre Il suo bisogno al condotto facea, L'oglio
favale per tutto correa.
Col suspiramus lachrimarum valle Rivestissi levata dal condotto, Pregando il gentilhuom,
con basse spalle, Che del trentuno suo non faccia motto. Il da ben sotio il giuramento
dalle Che solamente dira che fur otto, Et cosi de fottenti il gran collegio Le fe la gratia, e
dielle 'l privilegio.
Poi trovossi una barca da melloni, E piantataci su sua Signoria, Fu menata à Venetia
senza suoni Che l'havrian tratta la meninconia. Rimasti à Chioggia, quei compagni buoni
Scrisser per ogni muro e in ogni via Come l'Angela Zaffa nel trent'uno, À i sei d'Aprile,
habbia havuto 'l trentuno.
Hor la Zaffetta è giunta in casa, e botta. Subbia, chiama e bestemmia in voci ladre. Di
bastonar le massare borbotta, Onde l'aperse la riva sua madre, Et vedendo la figlia mal
condotta, Chiama Borrino, suo addottivo padre, Et serrata la riva su le scale, Stramorti la
puttana universale.
Posta nel letto, d'aceto rosato Bagnati i polsi, et di fresche acque il viso, Lo spirto mariol
l'è ritornato; Et riguardando la sua madre in viso, Disse: Quel traditor, che m'ha menato A
Chioggia, ch'ei sia arso et sia ucciso; Dar m'ha fatto un trentuno il traditore. Mio pare, i
vo che gli mangiate 'l core.
Quando la madre l'alza i panni, e vede Il suo quadro, e 'l suo tondo rosso, e rossa, E l'uno
e l'altro enfiato, certo crede In fra due hore andarsene in la fossa, Et con gran pianto il suo
barbiero chiede, Che venne presto, e sta in dubbio se possa Guarirla o no, ma pur con
certa ontione L'unghie 'l seder, e l'unghie 'l pettiglione.
Lo sbisao bestial Borrin feroce, Col pistolese in man, stringendo i denti, In portico
spasseggia, e ad alta voce Dice mille: Vo farne mal contenti. Fa su le ditta il segno de la
croce, Et su ci giura mille sacramenti Che vuol far diventar sangue il suo rio: Ah! poltron
mondo! ah! benedetto Dio!
Gia per Venetia è 'l trentun divolgato. De la Zaffetta è pieno ogni bordello, Ne pur' un sol
s'è in la cita trovato Che non esalti chi l'ha dato quello. In fino il buon compagno Gioan
Donato, Et Lunardo da Pesar, buono e bello, Han caro ogni suo mal, perch'ella impari
Con le soie à burlar con i suoi pari.
Venner da Chioggia à Venetia di botto I mastri che punir la volser bene, Et per tutto notar
numero otto, Poi ch'ottanta notar non si conviene, Che l'han promesso, e non l'havrebbon
rotto Il privilegio ch'ella appresso tiene; Et ciascun che lo legge benedice I mastri à
castigar la meretrice.
La Zaffeta ha serrato ogni balcone. In casa stassi, come fusse morta. Il suo rio non fa piu
reputatione. Non aprirla al Prencipe la porta. Non mangia o dorme; e trista in un cantone
S'è post'al scuro, et mai non si conforta; Et quando che di Chioggia si ricorda, Si lascia
cader
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