moderni eran usciti fuori
co' fatti de' baron, delle marchese,
che mille volte si tenean migliori
per certe grazie, e cosí piú alla mano,
e assai piú confacenti al
corpo umano.
15
Leggeano in quei siccome entro alle mura
delle vergini sacre ivan gli
amanti,
come fuggían da quelle alla ventura
le donzelle ivi poste,
andando erranti.
E vestite come uomo, alla sicura
dormian co'
maschi del fatto ignoranti,
e il loro imbroglio al terminar de' mesi.
ed altri casi all'uso de' francesi.
16
Nelle commedie il costume novello
correva ancora, e cavalieri e
dame
si vedean entro con poco cervello,
per l'onor, per l'amore o
per la fame.
E turchi in scena con un gran drappello
di mogli pronte
sempre alle lor brame;
e dileggian gli eunuchi le schiavacce
con
mille detti lordi e parolacce.
17
Donde gli amor, gli equivoci ed i gesti,
uniti alla natura e al mal
talento,
faceano i paladini al vizio presti,
0. lo teneano in freno a tedio e a stento. Altri scrittor piú dotti e
disonesti per i lor fini, a tal cominciamento, stampavan libri
sottili e infernali, dipingendo i mal beni ed i ben mali.
18
I paladin leggeano i frontispizi
e qua e lá di volo sei parole;
poi
commettevan mille malefizi,
intuonando:--Il tal libro cosí vuole.--
Se v'era alcuno ch'abborrisse i vizi,
e dicesse:--Non déssi e non si
puole,--
gridavan:--Chi se' tu c'hai tanto ardire
i paladin di Francia
di smentire?--
19
E minacciavan di bando e galera;
ond'era forza rispettarli alfine.
Dunque la pace, l'ozio e la carriera
de' libri nuovi, fuor d'ogni confine
non sol de' paladini avean la schiera
corrotta, ma le genti parigine:
dal re Carlo sin quasi al mulattiere,
lascivo era e goloso e
poltroniere.
20
Lecita in chi poteva usar la forza
era la truffa, era la ruberia.
Ogni
peccato avea buona la scorza,
e con nuove ragion si ricopria.
Fanciulli ed ebbri, andando a poggia e ad orza,
udiensi disputare per
la via
ch'era il ner bianco e che il quadro era tondo
e che goder si
debba a questo mondo.
21
Gli abati in cotta e i santi monachetti,
che contra al mal dal pulpito
gridavano,
sudando, trangosciando, e che a' scorretti
mille
maledizion dal ciel mandavano,
erano uditi come gli organetti;
e
quando le persone fuori andavano,
un dicea:--Disse male,--un:--Disse
bene,
ma predica all'antica e non conviene.--
22
E chi diceva:--E' canta l'astinenza,
ma so che i buon boccon non gli
disprezza--
Poscia ridean con poca riverenza,
e ognun restava nella
sua mattezza.
Alle orazioni ed alla penitenza
diceano pregiudizi e
leggerezza,
0. ipocrisie per guadagnare i schiocchi,
0. cose da mal sani e da pitocchi.
23
Rinaldo (perché aveva poca entrata,
piacendogli le donne e la bassetta
e il vin, che ne beeva una fregata,
sicch'ogni dí sembrava una
civetta)
a Montalban fatto avea ritirata,
facendo vender senza la
bolletta
acquavite, tabacco ed olio e sale
e vin contro la legge
imperiale.
24
S'erano i gabellier molto provati
a condur pe' trasporti la sbirraglia;
Rinaldo avea sbanditi e disperati
che facevan co' sassi la battaglia:
onde se n'eran sempre ritornati
senza poter oprar cosa che vaglia.
Carlo chiudeva un occhio e gli era amico
pe' buon servigi suoi del
tempo antico.
25
Cosí Rinaldo un util grande avea
e s'aiutava i vizi a mantenere;
ma
il troppo vino, ch'ogni dí bevea,
l'inebbriava, ed era un dispiacere;
perché Clarice sua talor volea
fargli l'ammonizion ch'era dovere,
ed
egli bestemmiava come un cane
e le dicea parole assai villane.
26
E minacciava un divorzio di fare,
poi la mandava alla rocca ed all'ago.
La poveretta lo lasciava stare,
e in un canton facea di pianto un
lago.
Ed egli si metteva a berteggiare.
--Cosí, ben mio--dicea,--quel
pianto pago;--
e colle fanti in sul viso di lei
faceva cose ch'io non le
direi.
27
Il duca Namo nella sua vecchiaia
avaro ed usuraio s'era fatto.
Ogni
dí fitta teneva l'occhiaia
in su' processi per fare un bel tratto;
perché
investia di scudi le migliaia,
e alfin temeva qualche scaccomatto
0. dalle doti o da' fideicommissi; onde avea gli occhi in sulle carte fissi.
28
Poi tanti dubbi e cavilli trovava
co' poveretti che bisogno aviéno,
che sin per venti il cento comperava.
E usava un altro piacevol veleno,
che per il censo mai non molestava,
tanto che il foglio d'annate era
pieno,
e poi tra il capitale e l'usufrutto,
«salvum me facche», e' si
toglieva tutto.
29
Prestava a' giuocator spesso danari
a un per dieci il giorno di
vantaggio;
e i figli di famiglia aveva cari,
che avesser vizi assai ma
non coraggio,
perché voleva il pegno e scritti chiari;
poi
gl'inseguiva col viso selvaggio,
e alfin sí vago il conto avea tenuto,
ch'avean pagato e il pegno anche perduto.
30
Astolfo, dopo il costume novello,
era a Parigi inventor delle mode.
Or le calze riforma, ora il cappello,
ora le brache, e guadagna gran
lode;
e tagli or lunghi or corti al giubberello,
i capelli or in borsa or
con le code,
le fibbie or di metallo ed or di brilli,
ovate, tonde e
quadre, e mille grilli.
31
E perché gli piacevano le dame,
ei fu inventor de' cavalier serventi.
A vincer cori aveva mille trame,
perch'era un damerin de' diligenti.
Né si curava di freddo o di fame,
per le servite, o di piogge o di venti,
ed ogni stravaganza sofferiva,
anzi lodava, anzi pur benediva.
32
Spesso con esse alla lor tavoletta
si ritrovava e
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