La Coscienza di Zeno | Page 9

Italo Svevo
che non vedevo per me altra via d'uscita che l'ubriachezza.
Ecco dove m'aveva condotto la fiducia in mia moglie!
In quel momento a me pareva che il vizio del fumo non valesse lo sforzo cui m'ero
lasciato indurre. Ora non fumavo già da mezz'ora e non ci pensavo affatto, occupato
com'ero dal pensiero di mia moglie e del dottor Muli. Ero dunque guarito del tutto, ma
irrimediabilmente ridicolo!
Stappai la bottiglia e mi versai un bicchierino del liquido giallo. Giovanna stava a
guardarmi a bocca aperta, ma io esitai di offrirgliene.
- Potrò averne dell'altro quando avrò vuotata questa bottiglia?
Giovanna sempre nel piú gradevole tono di conversazione mi rassicurò:--Tanto quanto ne
vorrà! Per soddisfare un suo desiderio la signora che dirige la dispensa dovrebbe levarsi
magari a mezzanotte!
Io non soffersi mai d'avarizia e Giovanna ebbe subito il suo bicchierino colmo all'orlo.
Non aveva finito di dire un grazie che già l'aveva vuotato e subito diresse gli occhi vivaci
alla bottiglia. Fu perciò lei stessa che mi diede l'idea di ubriacarla. Ma non fu mica facile!
Non saprei ripetere esattamente quello ch'essa mi disse, dopo aver ingoiati varii
bicchierini, nel suo puro dialetto triestino, ma ebbi tutta l'impressione di trovarmi da
canto una persona che, se non fossi stato stornato dalle mie preoccupazioni, avrei potuto
stare a sentire con diletto.
Prima di tutto mi confidò ch'era proprio cosí che a lei piaceva di lavorare. A tutti a questo
mondo sarebbe spettato il diritto di passare ogni giorno un paio d'ore su una poltrona
tanto comoda, in faccia ad una bottiglia di liquore buono, di quello che non fa male.
Tentai di conversare anch'io. Le domandai se, quand'era vivo suo marito, il lavoro per lei
fosse stato organizzato proprio a quel modo.
Essa si mise a ridere. Da vivo suo marito l'aveva piú picchiata che baciata e, in confronto
a quello ch'essa aveva dovuto lavorare per lui, ora tutto avrebbe potuto sembrarle un
riposo anche prima ch'io a quella casa arrivassi con la mia cura.
Poi Giovanna si fece pensierosa e mi domandò se credevo che i morti vedessero quello
che facevano i vivi. Annuii brevemente. Ma essa volle sapere se i morti, quando
arrivavano al di là, risapevano tutto quello che quaggiú era avvenuto quand'essi erano
stati ancora vivi.
Per un momento la domanda valse proprio a distrarmi. Era stata poi mossa con una voce
sempre piú soave perché, per non farsi sentire dai morti, Giovanna l'aveva abbassata.
- Voi, dunque--le dissi--avete tradito vostro marito.

Essa mi pregò di non gridare eppoi confessò di averlo tradito, ma soltanto nei primi mesi
del loro matrimonio. Poi s'era abituata alle busse e aveva amato il suo uomo.
Per conservare viva la conversazione domandai:
- È dunque la prima delle vostre figliuole che deve la vita a quell'altro?
Sempre a bassa voce essa ammise di crederlo anche in seguito a certe somiglianze. Le
doleva molto di aver tradito il marito. Lo diceva, ma sempre ridendo perché son cose di
cui si ride anche quando dolgono. Ma solo dacché era morto, perché prima, visto che non
sapeva, la cosa non poteva aver avuto importanza.
Spintovi da una certa simpatia fraterna, tentai di lenire il suo dolore e le dissi ch'io
credevo che i morti sapessero tutto, ma che di certe cose s'infischiassero.
- Solo i vivi ne soffrono!--esclamai battendo sul tavolo il pugno.
Ne ebbi una contusione alla mano e non c'è di meglio di un dolore fisico per destare delle
idee nuove. Intravvidi la possibilità che intanto ch'io mi cruciavo al pensiero che mia
moglie approfittasse della mia reclusione per tradirmi, forse il dottore si trovasse tuttavia
nella casa di salute, nel quale caso io avrei potuto riavere la mia tranquillità. Pregai
Giovanna di andar a vedere, dicendole che sentivo il bisogno di dire qualche cosa al
dottore e promettendole in premio l'intera bottiglia. Essa protestò che non amava di bere
tanto, ma subito mi compiacque e la sentii arrampicarsi traballando sulla scala di legno
fino al secondo piano per uscire dalla nostra clausura.
Poi ridiscese, ma scivolò facendo un grande rumore e gridando.
- Che il diavolo ti porti!--mormorai io fervidamente. Se essa si fosse rotto l'osso del collo
la mia posizione sarebbe stata semplificata di molto.
Invece arrivò a me sorridendo perché si trovava in quello stato in cui i dolori non dolgono
troppo. Mi raccontò di aver parlato con l'infermiere che andava a coricarsi, ma restava a
sua disposizione a letto, per il caso in cui fossi divenuto cattivo. Sollevò la mano e con
l'indice teso accompagnò quelle parole da un atto di minaccia attenuato da un sorriso. Poi,
piú seccamente, aggiunse che il dottore non era rientrato dacché era uscito con mia
moglie. Proprio da allora! Anzi per qualche ora l'infermiere aveva sperato che fosse
ritornato perché un malato
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