rispose:
- Eppure nessuno dopo il pranzo è stato in quella stanza.
Mio padre mormorò:
- È perché lo so anch'io, che mi pare di diventar matto!
Si volse ed uscí.
Io apersi a mezzo gli occhi e guardai mia madre. Essa s'era rimessa al suo lavoro, ma
continuava a sorridere. Certo non pensava che mio padre stesse per ammattire per
sorridere cosí delle sue paure. Quel sorriso mi rimase tanto impresso che lo ricordai
subito ritrovandolo un giorno sulle labbra di mia moglie.
Non fu poi la mancanza di denaro che mi rendesse difficile di soddisfare il mio vizio, ma
le proibizioni valsero ad eccitarlo.
Ricordo di aver fumato molto, celato in tutti i luoghi possibili. Perché seguito da un forte
disgusto fisico, ricordo un soggiorno prolungato per una mezz'ora in una cantina oscura
insieme a due altri fanciulli di cui non ritrovo nella memoria altro che la puerilità del
vestito: Due paia di calzoncini che stanno in piedi perché dentro c'è stato un corpo che il
tempo eliminò. Avevamo molte sigarette e volevamo vedere chi ne sapesse bruciare di
piú nel breve tempo. Io vinsi, ed eroicamente celai il malessere che mi derivò dallo strano
esercizio. Poi uscimmo al sole e all'aria. Dovetti chiudere gli occhi per non cadere
stordito.
Mi rimisi e mi vantai della vittoria. Uno dei due piccoli omini mi disse allora:
- A me non importa di aver perduto perché io non fumo che quanto m'occorre.
Ricordo la parola sana e non la faccina certamente sana anch'essa che a me doveva essere
rivolta in quel momento.
Ma allora io non sapevo se amavo o odiavo la sigaretta e il suo sapore e lo stato in cui la
nicotina mi metteva. Quando seppi di odiare tutto ciò fu peggio. E lo seppi a vent'anni
circa. Allora soffersi per qualche settimana di un violento male di gola accompagnato da
febbre. Il dottore prescrisse il letto e l'assoluta astensione dal fumo. Ricordo questa parola
assoluta! Mi ferí e la febbre la colorí: Un vuoto grande e niente per resistere all'enorme
pressione che subito si produce attorno ad un vuoto.
Quando il dottore mi lasciò, mio padre (mia madre era morta da molti anni) con tanto di
sigaro in bocca restò ancora per qualche tempo a farmi compagnia. Andandosene, dopo
di aver passata dolcemente la sua mano sulla mia fronte scottante, mi disse:
- Non fumare, veh!
Mi colse un'inquietudine enorme. Pensai: "Giacché mi fa male non fumerò mai piú, ma
prima voglio farlo per l'ultima volta". Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberato
dall'inquietudine ad onta che la febbre forse aumentasse e che ad ogni tirata sentissi alle
tonsille un bruciore come se fossero state toccate da un tizzone ardente. Finii tutta la
sigaretta con l'accuratezza con cui si compie un voto. E, sempre soffrendo orribilmente,
ne fumai molte altre durante la malattia. Mio padre andava e veniva col suo sigaro in
bocca dicendomi:
- Bravo! Ancora qualche giorno di astensione dal fumo e sei guarito!
Bastava questa frase per farmi desiderare ch'egli se ne andasse presto, presto, per
permettermi di correre alla mia sigaretta. Fingevo anche di dormire per indurlo ad
allontanarsi prima.
Quella malattia mi procurò il secondo dei miei disturbi: lo sforzo di liberarmi dal primo.
Le mie giornate finirono coll'essere piene di sigarette e di propositi di non fumare piú e,
per dire subito tutto, di tempo in tempo sono ancora tali. La ridda delle ultime sigarette,
formatasi a vent'anni, si muove tuttavia. Meno violento è il proposito e la mia debolezza
trova nel mio vecchio animo maggior indulgenza. Da vecchi si sorride della vita e di ogni
suo contenuto. Posso anzi dire, che da qualche tempo io fumo molte sigarette... che non
sono le ultime.
Sul frontispizio di un vocabolario trovo questa mia registrazione fatta con bella scrittura e
qualche ornato:
"Oggi, 2 Febbraio 1886, passo dagli studii di legge a quelli di chimica. Ultima
sigaretta!!".
Era un'ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze che l'accompagnarono.
M'ero arrabbiato col diritto canonico che mi pareva tanto lontano dalla vita e correvo alla
scienza ch'è la vita stessa benché ridotta in un matraccio. Quell'ultima sigaretta
significava proprio il desiderio di attività (anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e
sodo.
Per sfuggire alla catena delle combinazioni del carbonio cui non credevo ritornai alla
legge.
Pur troppo! Fu un errore e fu anch'esso registrato da un'ultima sigaretta di cui trovo la
data registrata su di un libro. Fu importante anche questa e mi rassegnavo di ritornare a
quelle complicazioni del mio, del tuo e del suo coi migliori propositi, sciogliendo
finalmente le catene del carbonio. M'ero dimostrato poco idoneo alla chimica anche per
la mia deficienza di abilità manuale. Come avrei potuto averla quando continuavo a
fumare come un turco?
Adesso che son qui, ad
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