di fornire alla Serenissima entro 14 anni, in lotti proporzionali, le artiglierie di cui abbisognava; e cioè 35 cannoni da 30 libbre,[32] 52 da 14, 24 da 12, oltre le munizioni, gli attrezzi e gli armamenti necessari. Lo Stato si sarebbe garantito della buona qualità delle forniture, obbligando la ditta Spazziani ad uniformarsi strettamente nella fondita dei pezzi alle regole all'uopo prescritte dal maresciallo Schoulemburg, e con l'assoggettare le bocche da fuoco a speciali prove forzate da compiersi al Lido, a spese esclusive della società assuntrice ed alla presenza del magistrato all'artiglieria.
Queste prove dovevano essere da due a quattro per ogni pezzo da collaudarsi, ed i pezzi rifiutati si dovevano restituire alla ditta per essere rifusi e nuovamente esperimentati. Nel contratto infine erano comminate penalità e multe alla ditta Spazziani, al caso di inosservanza di impegni da parte della medesima.[33]
L'artiglieria veneta, con il concorso dell'industria privata, poteva e doveva quindi rinnovarsi tra il 1782 ed il 1796. In questo periodi di tempo dovevano inoltre rifondersi o ristaurarsi le bocche da fuoco dichiarate inservibili, e non erano poche in quel tempo: 82 cannoni di diverso calibro, 85 colubrine, 63 sacri e passavolanti, 180 petrieri, 5 mortai, 9 trabucchi ed 1 bastardo.[34]
Se così fosse stato, la Serenissima all'aprirsi della campagna del 1796 avrebbe avuto 536 bocche da fuoco disponibili, nuove del tutto o riparate; e non si sarebbero visti sui rampari di Verona ?i pezzi così malandati, i letti (affusti) così r?si dal tempo... che se fosse occorso di maneggiarne taluno non si saprebbe come eseguire l'ordine?.[35]
* * *
Ma per assicurare tali vantaggi all'esercito sarebbero occorsi continuità di vedute nell'amministrazione della guerra, preparazione, vigore di energie da parte delle persone elevate all'ufficio di Savio alla scrittura, accordo infine deciso e cosciente di tutti nell'attuare una riforma finanziaria ed industriale che avrebbe legato il nome della Serenissima ad un grande e razionale progresso nella pubblica economia.
Ora la vecchia e già tanto sapiente Repubblica, ridotta a lottare indarno contro la morte vicina, non poteva più trovare nel consunto organismo lo rinnovate energie capaci di redimerla dalla triste eredità del passato. Fino al 1786, cioè durante il periodi delle riconferme al Saviato di Francesco Vendramin--il ministro riformatore della decadenza militare veneta--le consegne della ditta Spazziani procedettero con ordine e regolarità, ma da quell'anno in avanti gli impegni cominciarono ad allentarsi finchè non ne rimase più traccia. Ai lagni in materia delle pubbliche cariche militari si rispondeva invariabilmente con delle buone promesse, con caute direzioni, con voti e parole, mentre i mali reclamavano urgentemente fatti, mentre gli ufficiali attestavano ?che in Dalmazia ed in Levante vi sono ancora compagnie di fanti armate ancora dei fucili dell'ultima campagna[36]... si che il solo smontarli e rimontarli, ogni volta che pulir si debbono, basta a renderne un gran numero fuori di servizio?.[37]
Vero è che per i fatti, oltre che alla ferma e cosciente volontà dei deputati a compierli, occorre anche il danaro; e questo, come succede del sangue in ogni organismo indebolito, è il primo a scarseggiare nei governi travagliati dalla decadenza. Alla fine della seconda neutralità d'Italia--cioè subito dopo la guerra per la successione di Polonia--lo _sbilanzo, o deficit_ delle finanze veneziane, era infatti salito a 770-784 ducati all'anno, ed all'amministrazione della guerra toccò di scontare queste falle con sacrifizi e con lesinerie le quali finirono per annientare del tutto la compagine materiale e morale dell'esercito.
?Con queste riduzioni--diceva un rapporto al Principe--il corpo delle truppe non può oramai più supplire con la propria forza agli essenziali bisogni dello Stato... e quindi occorre sia tolto da quel languore e miseria in cui presentemente esso si trova, somministrandogli i mezzi di cui ha bisogno?[38].
Ma anche sa questo punto la voce del Savio Vendramin predicò invano, ed i denari non vennero--ironia del caso--se non quando si trattò non già di apparecchiare armi ed armati in difesa della Repubblica, ma di mantenere lautamente due eserciti sul suo suolo, nemici l'uno dell'altro, della Serenissima, ed entrambi emuli nell'opera triste di taglieggiarla e di calpestarla.
Ma ritorniamo al Savio alla scrittura ed alla sua fisionomia burocratica.
Quale magistrato supremo alla milizia esso, di regola, non abbandonava la _Dominante_--cioè Venezia--se non per compiere l'annuale visita al Collegio militare di Verona, in Castelvecchio, dal quale uscivano i giovani ufficiali di artiglieria e genio della Repubblica. Era questa una comparsa periodica all'epoca degli esami finali, che circondavasi a bella posta di solennità, sia nell'intento di lasciar traccia nell'animo dei futuri ufficiali delle milizie venete, sia in quello di ravvivare, a scadenza fissa, il prestigio ed il nome del Savio alla scrittura nella principale fortezza dei domini d'Italia. Ma le apparizioni erano troppo rapide e, sovratutto, affogate sotto il cumulo delle formalità proprie del manierismo incipriato del tempo.
Di una di queste visite si conserva traccia nel diario del Collegio militare di Verona. ?Il Savio Alvise Quirini--dice il diario--partì da Venezia
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