guardiano, poi saliremo insieme al convento.
Il Birecchi pose in campo delle obiezioni, le quali dimostravano
com'egli covasse in petto una proposta di genere profano.
Dopo breve discussione, io mi determinai pel partito del sacrista, e mi
accordai seco per tutto che era da farsi.
[Nota 1: Maggio, 1849.]
CAPITOLO II.
Il Convento.
All'indomani, verso le cinque pomeridiane, scortato dal Birecchi e dal
sagrestano, io saliva a Grottamare superiore per recarmi al convento dei
padri francescani posto sulla sommità della collina.
--Quei buoni padri, diceva il sagrestano, vi accoglieranno come un
fratello. Le sante leggi dell'ospitalità, che il progresso dell'incivilimento
ha cancellato dai codici e dai cuori umani, durano tuttavia nei conventi,
e vi si praticano religiosamente dai monaci. Essi vi hanno destinato una
buona cameretta, ove sarete alloggiato come un.... frate.
Il sole inclinava al tramonto e irradiava d'una luce rossastra le onde
tranquille, su cui galleggiavano cento paranze di pescatori che a vele
spiegate muovevano verso il lido. L'aria saliva freschissima verso il
colle. Quell'incanto di cielo, di colline e di mare mi esaltarono la
fantasia.
Giunti alla soglia del convento, il sagrestano scosse la campanella, e
poco dopo una voce sonora rispose dall'interno due o tre versi latini;
quindi le porte si aprirono cigolando, e un frate dall'aspetto venerabile
apparve in sulla soglia. Io chinai riverente la testa; allora il sagrestano
volgendosi al monaco, profferì presso a poco le parole che il nostro
Manzoni pone sul labbro dell'abate nell'atto che questi presenta Lucia
alla Signora di Monza:
--Questi è il giovine forestiere per cui ella si è degnata interessarsi, e
per cui mi ha fatto sperare la sua protezione.
--La camera è già pronta; il signore potrà alloggiare al convento finchè
gli tornerà grato.
Dopo altre parole, il sagrestano si congedò da me stringendomi
cordialmente la mano. Io rimasi in sulla soglia finchè lo vide sparire
all'estremità del sacrato, quindi tenni dietro al mio ospite capuccino.
Quando sentii chiudersi le porte, e intesi il rumore de' chiavistelli e
delle spranghe, un brivido mi corse per le vene. Qual ragione aveva io
da temere? Pure, l'oscurità dei lunghi corridoi pel quali io m'inoltrava,
l'eco delle ampie navate, che cupa ripeteva il suono de' miei passi, il
lento rintocco, della campana che chiamava i monaci alla chiesa e i
canti severi che da quella si partivano produssero in me un invincibile
senso di paura.
Ed alla paura, di mano in mano si succedevano nell'animo mio
commozioni inaspettate e d'indole più serena; qualche cosa che
somigliava al benessere, al desiderio di una eterna solitudine e di un
profondo oblìo d'ogni cosa terrena.
Erano le nove della sera. I monaci dormivano nelle loro cellette. Mi
affacciai alla finestra, e poggiati i gomiti sul davanzale, stetti non so
ben quante ore assorto in deliziosa contemplazione. La frescura
dell'aere, le esalazioni profumate dei cedri e degli aranci, la luna che
grassa e rubiconda si specchiava nel mare, tutto mi accarezzava la
fantasia di nuove seduzioni.
L'idea di vestire l'abito religioso mi assaliva ad ogni tratto.
Attraversando i fertili gioghi della Toscana e della Romagna,
dappertutto si erano affacciate al mio sguardo scene atrocissime, alla
cui memoria la calma solenne che in quel momento mi circondava,
parevami il più desiderabile d'ogni bene terreno. Poi, quale strano
passaggio dalla vita dell'istrione alla vita del monaco! Che bella cosa
scomparire dal mondo, essere dimenticato da tutti, non aver altro di
comune col resto degli uomini che l'aria ed il sole! Svegliarsi prima
dell'alba, scendere coi fratelli nella chiesicciuola; quindi uscire in sul
sacrato a salutare i crepuscoli, svagarsi nel paesello, entrare aspettato e
desiderato nella casuccia del colono, consolare delle sventure e
raccogliere dei sorrisi; poi tornando al convento intrattenersi nella
fresca biblioteca a sfogliazzare dei grandi volumi.
E la mia fantasia andava più oltre; errava di paese in paese, di città in
città, ideando le più strane avventure. Mi pareva d'esser già frate...
d'avere una barba lunga fino alla cintura, il cocuzzolo calvo, e una
imponente protuberanza di addome. Il padre superiore mi ordina di
recarmi a Milano per predicarvi la quaresima.--Giungo--attraverso le
contrade--veggo gli amici, le donne a me note--nessuno mi riconosce;
la barba ed il ventre mi hanno completamente trasformato.--È la prima
domenica di quaresima--il popolo attende nella chiesa di S. Marco il
nuovo predicatore--io comparisco sul pulpito e comincio a tuonare.... il
mio sermone. All'indomani i penitenti assediano il confessionale, ed io
me ne sto accovacciato fiutando tabacco e coscienze. Una donna si
presenta alla grata... io la conosco...--la interrogo--essa mi rivela i
segreti del suo cuore.--Nell'epoca in cui diceva d'amarmi ella accordava
i suoi favori al professore di musica, e intratteneva un carteggio
sentimentale col figlio del mio parrucchiere... A tal confessione, io non
so reprimermi, minaccio la penitente del fuoco eterno... la fulmino colla
scomunica, e attraverso la grata le faccio udire
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