Vive alle sponde appresso, Lo strepito non sente Del rovinoso umor.
SCI. E quali abitatori...
FOR. Assai chiedesti: Eleggi al fin.
SCI. Soffri un istante. E quali Abitatori han queste sedi eterne?
COS. Ne han molti e vari in varie parti.
SCI. In questa, Ove noi siam, chi si raccoglie mai?
FOR. Guarda sol chi s'appressa, e lo saprai.
[PUBLIO, coro d'eroi, indi EMILIO e detti.]
CORO. Germe di cento eroi, Di Roma onor primiero, Vieni, che in ciel straniero Il nome tuo non è.
Mille trovar tu puoi Orme degli avi tuoi Nel lucido sentiero, Ove inoltrasti il piè.
SCI. Numi, è vero o m'inganno! Il mio grand'avo, Il domator dell'African rubello Quegli non è?
PUB. Non dubitar, son quello.
SCI. Gelo d'orror! Dunque gli estinti...
PUB. Estinto, Scipio, io non son.
SCI. Ma in cenere disciolto Tra le funebri faci, Gran tempo è già, Roma ti pianse.
PUB. Ah taci: Poco sei noto a te. Dunque tu credi Che quella man, quel volto, Quelle fragili membra, onde vai cinto, Siano Scipione? Ah non è ver. Son queste Solo una veste tua. Quel che le avviva Puro raggio immortal, che non ha parti E scioglier non si può; che vuol, che intende, Che rammento, che pensa, Che non perde con gli anni il suo vigore, Quello, quello è Scipione; e quel non muore. Troppo iniquo il destino Saria della virtù s'oltre la tomba Nulla di noi restasse, e s'altri beni Non vi fosser di quei Che in terra per lo più toccano a' rei. No, Scipio: la perfetta D'ogni cagion prima Cagione ingiusta Esser così non può. V'è dopo il rogo, V'è mercè da sperar. Quelle che vedi Lucide eterne sedi Serbansi al merto; e la più bella è questa, In cui vive con me qualunque in terra La patria amò, qualunque offrì pietoso Al pubblico riposo i giorni sui, Chi sparse il sangue a benefizio altrui.
Se vuoi che le raccolgano Questi soggiorni un dì, Degli avi tuoi rammentati, Non ti scordar di me.
Mai non cessò di vivere Chi come noi morì: Non meritò di nascere Chi vive sol per sè.
SCI. Se qui vivon gli eroi...
FOR. Se paga ancora La tua brama non è, Scipio è già stanca La tolleranza mia. Decidi...
COS. Eh lascia Ch'ei chieda a voglia sua. Ciò ch'egli apprende, Atto lo rende a giudicar fra noi.
SCI. Se qui vivon gli eroi Che alla patria giovar, tra queste sedi Perché non miro il genitor guerriero?
PUB. L'hai su gli occhi e nol vedi?
SCI. è vero, è vero: Perdona, errai, gran genitor: ma colpa Delle attonite ciglia è il mio tardo veder, non della mente Che l'immagine tua sempre ha presente. Ah sei tu! Già ritrovo L'antica in quella fronte Paterna maestà. Già nel mirarti Risento i moti al core Di rispetto e d'amore. Oh fausti Numi! Oh caro padre! Oh lieto dì! Ma come Sì tranquillo m'accogli? Il tuo sembiante Sereno è ben, ma non commosso. Ah dunque Non provi in rivedermi Contento eguale al mio!
EMI. Figlio, il contento Fra noi serba nel cielo altro tenore. Qui non giunge all'affanno, ed è maggiore.
SCI. Son fuor di me. Tutto quassù m'è nuovo, Tutto stupir mi fa.
EMI. Depor non puoi Le false idee che ti formasti in terra, E ne stai sì lontano. Abbassa il ciglio: Vedi laggiù d'impure nebbie avvolto Quel picciol globo, anzi quel punto?
SCI. Oh stelle! è la terra?
EMI. Il dicesti.
SCI. E tanti mari, E tanti fiumi e tante selve, e tante Vastissime provincie, opposti regni, Popoli differenti? E il Tebro? e Roma?...
EMI. Tutto è chiuso in quel punto.
SCI. Ah padre amato, Che picciolo, che vano, Che misero teatro ha il fasto umano!
EMI. Oh se di quel teatro Potessi, o figlio, esaminar gli attori, Se le follie, gli errori, I sogni lor veder potessi, e quale Di riso per lo più degna cagione Gli agita, gli scompone, Li rallegra, gli affligge o gl'innamora, Quanto più vil ti sembrerebbe ancora!
Voi colaggiù ridete D'un fanciullin che piange, Che la cagion vedete Del folle suo dolor.
Quassù di voi si ride, Che dell'età sul fine, Tutti canuti il crine, Siete fanciulli ancor.
SCI. Publio, padre, ah lasciate Ch'io rimanga con voi. Lieto abbandono Quel soggiorno laggiù troppo infelice.
FOR. Ancor non è permesso.
COS. Ancor non lice.
PUB. Molto a vìver ti resta.
SCI. Io vissi assai; Basta, basta per me.
EMI. Sì, ma non basta A' disegni del Fato, al ben di Roma, Al Mondo, al Ciel.
PUB. Molto facesti, e molto Di più si vuol da te. Senza mistero Non vai, Scipione, altero E degli aviti e de' paterni allori. I gloriosi tuoi primi sudori Per le campagne Ibere A caso non spargesti, e non a caso Porti quel nome in fronte Che all'Affrica è fatale. A me fu dato Il soggiogar sì gran nemica, e tocca Il distruggerla a te. Va, ma prepara Non meno alle sventure Che a' trionfi il tuo petto. In ogni sorte L'ìstessa è la Virtù.
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