sottile come un taglio di rasoio, appena
visibile alla superficie, ma netta sino al fondo. Benchè non me lo
dicesse, trovava certo i miei versi troppo democratici nella veste,
troppo lontani da quella ricercata nobiltà di forma, senza la quale, per
lei, non v'era poesia. Lo indovinai discorrendo con lei di altri poeti, e ne
rimasi ferito. Mi offese il suo giudizio, mi offese una tale indipendenza
del giudizio dal sentimento, poichè ella mi aveva confessato più volte,
a voce e in iscritto, di amarmi. Avevo un altro ideale dell'amore, ero
stato anche amato, tempo addietro, in altro modo, con la prepotenza del
cuore su ogni facoltà e inclinazione della mente. Tuttavia, se mi avesse
dato altri segni di un sentimento forte e profondo, se l'avessi veduta,
almeno qualche volta, incapace di dominar la passione, non mi sarei
offeso di questa sua indipendenza di giudizi. Ma ella si dominava
sempre, e, discorde da me in molte questioni, anche di poco momento,
ha sempre tenacemente insistito sul proprio punto. Mi convinsi dunque
che il suo sentimento non era l'amore, e, poichè non l'amavo io stesso,
risolsi di allontanarmene.
Ella dovette sospettarlo quando ci ritrovammo in città nel dicembre del
1871, dopo due mesi di separazione. Avevo in mente di partire a Natale
per San Remo e di passarvi l'inverno; ma caddi malato. Allora ella fu di
proposito imprudente e volle vedermi. Io vivevo con mio fratello ed
ella non visitava mai mia cognata. La visitò in questa occasione, le
chiese di potermi salutare. La mia pia cognata ne rimase talmente
sbalordita, talmente scandolezzata che, malgrado la sua timidezza, esitò
alquanto a consentire, e sono sicuro che poi se n'è confessata. Infatti in
città si fece un grande scalpore di questa visita. Io lo seppi dopo la mia
guarigione e temetti commettere, partendo, una ingratitudine, una viltà.
La mia vita era così; un continuo fluttuare della mente e del cuore,
ambedue senza luce.
La notte fra il 12 e il 13 gennaio 1872 rifeci il misterioso sogno. Venni
da Lei appena fui in grado di uscire la sera; il 20 o il 21. Cara amica,
Ella ebbe ragione di risentirsi con me. L'avevo, da un anno, trascurata
indegnamente. Non era venuta meno in me l'amicizia antica, ma
vergognavo di me stesso, e ciò mi teneva lontano da Lei. Quella sera
venni come portato da una tempesta e Le dissi tutto, le raccontai il
sogno con tale accesa fede nella sua origine sovrannaturale, nel suo
senso profetico, che Lei mi credette minacciato di follia. Mi disse che
non stavo ancora bene, che avevo bisogno di quiete morale, che dovevo
svagarmi, viaggiare un poco, e non scrivere troppe lettere.
Lo avrei fatto se non si fosse risvegliata finalmente allora la gelosia del
marito. Da capo credetti non poter abbandonare la signora. Ci
vedevamo assai meno, ma pure non so per quale spirito di ribellione,
per quale perverso istinto del cuore, appunto quando vi fu nell'amarsi
angoscia e pericolo, appunto quando un'altra persona incominciò a
sentirsene offesa o a soffrirne amaramente, quando la gente ci biasimò,
parve che un soffio di vera passione entrasse in noi. La signora non si
mostrò più tanto sicura di sè. Che il mondo ci giudicasse colpevoli era
come un freno levato di mezzo; era un potente eccitamento al male quel
subirne già gli effetti così. Per parte mia avevo la coscienza di scendere
pian piano verso un abisso da cui salissero vampe calde a infiammare i
sensi, a oscurare il pensiero. Sapendo di perdermi, mi ci sentivo tuttavia
tratto da quello stesso istinto perverso. Però qualche volta mi arrestavo
con terrore, mi proponevo di resistere. Una simile passione, fuoco di
sensi più che di spirito, era contro la mia fede, contro l'alto ideale cui
avevo desiderato conformarmi nella vita e nell'arte. Mi pareva di stare
imprimendo un marchio d'ipocrisia o di vergogna sulla mia vita,
sull'opera mia, sulla mia memoria presso i venturi, di tradir vilmente la
mia bandiera. Ma poi non avevo la forza di astenermi dal vederla sola
le poche volte che ciò era possibile, sapendo con quale fede ero atteso;
e quando ero con lei, la sua bellezza, il suo turbamento mi toglievano
quasi la mente. Per fortuna questi convegni non furono molti, nè lunghi,
nè segreti, nè sicuri; ed è anche giusto dire che in lei durava sempre,
quantunque un poco smossa e malferma, la buona volontà. Così
passarono alcuni mesi fra i più agitati e tristi della mia vita. Fu quello il
tempo per me della maggiore aridità e inerzia intellettuale; non so
d'avere scritto in quei mesi un sol verso nè d'avere studiato mai.
Cara amica, mi sono assai dilungato su questo episodio che appena si
lega con l'argomento del mio scritto, perchè volevo dire entro quali
termini veramente si contenne, e anche espiare, almeno
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