Il mistero del poeta | Page 2

Antonio Fogazzaro
racconto. Avevo scritto
d'affanno e di sdegno, ma ho cancellato lo sdegno, che spiacerebbe alla
diletta come un'impurità. Non vi ha oramai per lei e per me che un solo
pericolo su questa terra: un solo dolore chiediamo a Dio di allontanare
da noi: lo scandalo. Esso è appena possibile, e spero che saremo
esauditi; ma se nella sapienza divina fosse altro consiglio, faccia, amica
mia, tutto, tutto ciò che faremo noi, se vivi. Ove non si credesse alla
mia parola, la confermi con testimonianze e documenti; Le saranno
forniti, ad ogni richiesta, dal mio amico Dottor Paul Steele, di
Rüdesheim am Rhein, Prussia.
È il giorno dei morti, la nebbia fuma intorno alle finestre della solitaria
villa dove son ospite dei miei nipoti, mi chiude nelle memorie del
passato. Qualcuno ripete sotto di me, al piano, non so che musica
monotona di esercizi: odo nella stanza vicina passi tranquilli di servi.
Nessuno immagina quel ch'io faccio, quel ch'io sento. La mia mano
trema, il mio petto è un palpito solo, le lagrime mi ascendono alla gola.
E il racconto parrà poi a me stesso così freddo! Vorrei parlare, ma non
con la parola che muore, parlare dall'ombra del mondo ignoto con la
voce viva che va, che va, d'atomo in atomo, non posa mai, è udita forse
nei mondi inaccessibili all'occhio umano, se vi sono colà spiriti potenti
a sentire ogni moto. Vorrei poter parlare non alla folla, ma solo ai cuori
generosi che una calunnia avrà contristati e ai cuori perversi che ne
avranno goduto. Devo io dunque deporre la penna e affidarmi a Dio?
Penso a lei, alla stella mia, e odo la sua dolce voce straniera, la voce più
dolce, io credo, che abbia suonato su labbra umane, dirmi teneramente:
caro, scrivi; write, love.

II.

Ella sa, amica mia, che fino al 1872 non ebbi segreti per Lei. Se non ci
siamo amati, quantunque liberi, fu perchè, forse, v'era tra noi troppa
affinità di sentimenti, troppa comunanza d'idee, troppa fraternità di
natura; e l'amore, tra noi, sarebbe stato una specie d'incesto. Tale è la
ragione bizzarra che ne trovammo insieme una volta. Non era tuttavia
la sola, certo; ne avevamo altre, Lei e io. Non toccherò delle Sue,
naturalmente; ma si ricorda del sogno che Le raccontai appunto
nell'inverno del 1872, una sera ch'eravamo soli e ch'io Le avevo portato
un libro curioso: «Du sommeil et des rêves?» Forse non se ne ricorderà.
Lo strano del sogno è questo, che lo feci due volte a un intervallo di
nove anni. Lessi nella mia prima giovinezza la poetica leggenda tedesca
del pozzo tanto profondo da non potervi nè occhio, nè strumento
umano arrivare all'acqua. Viene un trovatore, siede sul pozzale e suona
dolcemente; l'acqua si muove; colui suona e suona; l'acqua sale poco a
poco, sale sempre, brilla sulla bocca. La notte dopo sognai di salir da
non so quale abisso per la potenza di una voce soave che diceva in alto,
con accento straniero, parole incomprese. Mi svegliai piangendo, in
preda a un orgasmo che mi durò parecchie ore, pieno di questa
irragionevole idea, che la voce udita in sogno esistesse veramente,
richiamandone alla memoria, più forte che potevo, il timbro singolare,
tremando di dimenticarlo. Lo dimenticai in fatti e presto, ma non
dimenticai il sogno, e non mi uscì di mente l'idea che fosse un sogno
profetico, una comunicazione arcana della Divinità.
Nessuna voce femminile mi fece poi risovvenire di quella; ma nel
gennaio del 1872, durante una convalescenza, rifeci l'identico sogno,
riudii la dolce voce dall'accento straniero. Otto o dieci giorni dopo
venni da Lei e Le portai il libro: «Du sommeil et des rêves.»
È quasi impossibile ch'Ell'abbia dimenticata la mia agitazione di quella
sera. Può essere ch'io sia mistico per natura e inclinato a credere in
certe occulte potenze dello spirito umano, in certe sue relazioni segrete
col soprannaturale; è sicuramente vero che prima del gennaio 1872
avevo già fatto esperienza due volte, non in sogno, di tali
comunicazioni dirette; una volta a dodici anni, un'altra sui quattordici.
La prima volta ne riportai commozione e spavento benchè fosse un
lieto presagio; tanto era nuovo a me quel concetto, tanto fu improvvisa

e chiara la voce interna che mi parlò. Il presagio si avverò sedici anni
dopo. La seconda volta non si trattò di presagi, e solo nella vita futura
saprò se fu un delirio dell'anima o veramente la voce d'un altro spirito,
come credetti e credo e sta scritto in certo mio libro. Era dunque
naturale che la impressione del secondo sogno fosse in me fortissima.
Credevo nella esistenza reale della voce udita, con più ardore ancora, se
possibile, che la prima volta; credevo all'influenza salutare e potente
cui avrebbe dovuto esercitare un giorno sopra di me la persona che
parlava così. Immagini
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