havvi nuova vita. Se ciò è dunque vero, quale arte, quale?rappresentazione grafica o plastica è possibile che sia l'espressione dei tempi nostrì, di questa lotta contro il già fatto per il fare nuovissimo, di questo abbattere il finito e l'incatenato per la libertà?
Ogni passo avanti che calpesti un pregiudizio, una forma sussistente non nella coscienza ma nell'aspetto, un diritto che si fonda non sull'eguaglianza ma sulla disparità, una sanzione che consacri non la universalità ma il singolare, un privilegio che difenda non una sostanza ma un'apparenza: questo passo sarà sempre una conquista nel campo morale e materiale della società: la comunità non rivolge mai le spalle alla meta: fuorvia e vaga, e sarà allora davanti ad un ostacolo troppo prepotente, per scansarlo, o per seguire più alacremente il pensiero, cui il desiderio suscita coll'urgenza alla fine, ma che il potere non consacra nè concede. La comunità si riposerà, ma come un naviglio che scenda per la corrente e non apra vela o stenda remo per aiutare il cammino: la corrente, di natura, lo porterà con sè alla foce. Questa è decadenza: nè io comprendo altra decadenza che, passato l'impeto dell'azione muscolare e di un rivolgimento assodato di nazioni e di società, la sosta del pensare sociale per l'attuazione di nuove utilità migliori, quando già le prime ed antiche l'uso stesso abbia logorato, che, decrepite, siano vicine ad essere insufficienti.
Decadenza quindi rispetto a noi, non rispetto alla filosofia della storia, decadenza nel rapporto, in quanto ricerchiamo la sostanza nuova di tutte le cose, la quale non solo abbia informato l'antico modo, ma ora per nuova virtù lo abbatta e ne costruisca uno migliore; decadenza in quanto lottiamo ad impadronirci di questa sostanza, forma e materia addoppiata, mentre l'idea brilla ed il mezzo di renderla evidente e sicura manca, ma verrà trovato.
III.
E perchè allora cercando il nuovo si torni all'antico? Esistono forme immemoriali indistruttibili, segni percepiti e già svolti che identificano l'umanità nel simbolo. Il simbolo è come l'esistenza: nè l'esistenza manca d'evoluzione, perchè continuo moto, nè come esistenza è privo di meta per quanto sia. Le attitudini umane, le forze, vale a dire i vizi e le virtù, esistono quindi colla vita; da questi la rappresentazione, ossia la percettibilità di questi enti astratti al pensiero e quindi il simbolo primordiale, che è il rapporto della sostanza morale descritta, come la formola fisica e matematica è il rapporto del fatto che vuol esprimere. Il progresso evolve pel tempo e per la educazione queste prime attitudini, ma tramutandole non le sopprime, come le rivoluzioni riformano la società ma non la annullano; ed allora il simbolo moderno. Civiltà fu sempre come rapporto al già fatto: simbolo nostro è in quanto vogliamo fare.--Arte usò sempre di queste imagini, le piegò alle esigenze del tempo e dell'uomo, ma lasciò intatta ed invincibile la sostanza prima: arte fu eclettica, nè volgesi a sè stessa solamente, che allora è artificio dannoso; ma per la sua maestà, per la sua bellezza, per la sua grazia s'impose all'uomo e fu prima scienza di sentimento, storia di sensi, armonia di parole avanti che sorgessero la musica, le scienze e le religioni.--Che è altro arte se non una serie di rappresentazioni; che le rappresentazioni se non una serie di imagini? Ora, l'imagine è un rapporto dell'ente naturale diretto, o, nel semplice sforzo di fermarlo, l'elemento umano non entra come massimo coefficiente? In tal caso questo elemento toglierà od aggiungerà, sia per la debolezza, sia per l'esuberanza del soggetto rappresentatore, sempre alcun che alla sostanza che si voleva rappresentata, in modo da sformarne l'imagine. Così l'arte è allora espositrice della natura all'umanità, quando l'umanità non solo vi riscontri l'aspetto sintetico del mondo esterno, ma quando anche senta nel poema, nell'opera plastica e sinfonica la propria personalità, il proprio ?io? collettivo di quel momento e di quello stato.
IV.
Tre sono le epoche simbolistiche nella storia, come tre i rinnovamenti e le rivoluzioni.
Nell'ultimo secolo dell'impero romano, allo schiudersi del?rinascimento, la prima: s'innovano costumi, risorgono lingue e popoli, si sfasciano religioni e s'instaurano nuove, si diroccano castelli e templi ed altri ancora si estruggono di stili non saputi prima, cui laborava un ingegno recente nelli uomini del nord. L'arte, dal caos letterario, dal caos delle leggende e dei racconti indecisi che promanavano dall'estremo oriente e dall'ultimo settentrione con opposte particolarità, pure fondendosi nell'urto delle crociate, l'arte, del lavorìo secolare ed indistinto, ma sempre fermo ed alacre di nuovi idiomi nazionali che s'innalzavano dalle plebi e dai campi, tende all'idealità che il cristianesimo le ha bandito, a quel misticismo intenso che riscaldava come una fiamma e che purificava come un lavacro di neve. Questo fu il trionfo della vera arte italica e fu simbolista. Diede Dante e Petrarca, e Boccaccio anche sentì, novellatore com'era e prosatore, (certo combattente nell'idea Francesco d'Aquino, il pontefice dell'amore mistico eretto alla stranezza
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