Il Sacro Macello di Valtellina | Page 8

Cesare Cantú
sprezzator degli altri e sapendo
non credere tutto bello, tutto vero ciò ch'è antico: fors'anco vi leggeva
ai giovani quei commenti sul Petrarca che abbiamo a stampa. Secondo
il merito lo stimò e lo protesse Rodolfo dei Salis di Solio, il quale a lui
morto pose una lapide(19), che diceva come, fuggito dalla patria per
iniquità d'uomini malvagi, dopo decenne esilio, finalmente su libero
suolo, morto libero, libero riposava. Venne tacciato il Castelvetro
d'avere tradotto un libro di Melantone, con quel suo carattere di stile
che non può essere contraffatto: nelle opere postume, comunque
temperate dagli editori, trovò la curia romana di che condannarle
all'indice, ma benché scomunicato, non consta ch'egli abjurasse la fede.
Il che, se stato fosse, non l'avrebbero taciuto i nemici per vendetta, i
religionarj per trionfo.
Chiarissimo tra i rifuggiti in Valtellina è Pier Paolo Vergerio, che
spedito nunzio del papa in Germania quando più il luteranesimo
acquistava, caldamente operò a bene della vera fede. Le sue lettere
spirano religione, vivo zelo per gl'interessi di Roma e speranza di
richiamare sul cammin dritto Lutero, col quale anche s'abboccò. Ma
tornato, quando attendeva la porpora in premio di sue fatiche, l'invidia
il bersagliò di maniera che, allontanato da Roma, fu messo vescovo
prima a Mondrussa in Croazia, poi a Capodistria sua patria. Ivi egli

pose studio a correggere gli abusi della sua Chiesa, allontanare il
convento delle monache da uno attiguo di frati, cessare le leggende di
san Cristoforo e del drago di san Giorgio, levare certe strane effigi,
negar ai santi la protezione speciale su certe malattie, togliere le
tavolette dei miracoli. Per questo gli furono addosso i frati zoccolanti
ed altri operosi nemici quali il celebre Muzio, povero arnese che la
corte romana pagava allora come suo campione, e monsignor della
Casa, l'autore del Galateo, che lo dipinsero come luterano marcio nel
cuore. Tali accuse acquistavano allora sì facile credenza, come una
volta le stregherie e nei tempi a noi vicini quelle di giansenista e l'altre
generiche, a cui la vaghezza toglie di esser colpite di risposta. Il
Vergerio si condusse al concilio di Trento, a radunar il quale
efficacissima opera aveva prestata, ma ne venne rigettato: ricovrò a
Padova e sentendosi o temendosi ricercato fuggì in Valtellina, e fu
sentenziato d'eresia. Chi sente la rara virtù di resistere con tranquilla
mente agli iterati colpi della fortuna, ossia della malvagità degli uomini,
slanci la pietra contro di lui, perché il dispetto, il bisogno, la
disperazione lo trasformarono in un furioso novatore. Girò la Germania
portando seco, invece di tesori mondani, molti scritti dei novatori,
dicendo "con certa sua eloquenza popolare ed audacemente maledica"
cose di fuoco contro monsignor della Casa, principalmente per quei
sozzi capitoli della Formica e del Forno, contro Paolo III, contro il
Concilio, contro le fede: "e sono certo--dice Bayle--che pochi libri si
facevano allora, i quali fossero letti con più avidità da costui". A
persuasione di lui, gli Svizzeri non intervennero al Concilio. I Grigioni,
che vi avevano mandato il vescovo Tomaso Pianta, lo richiamarono. A
Pontaresina, ai piedi del monte Bernina, predicò il Vergerio sulla
giustificazione e sui meriti della morte di Cristo e ridusse gli abitanti
alla riforma, come pure a Casaccia sotto la montagna Maloggia. E la
chiesa di Poschiavo consacrò al nuovo culto(20), a cui tanti proseliti
acquistava la sua apostasia. Quando nel 1553 visitò la Valtellina, una
deputazione supplicò il governatore di impedirlo, altrimenti non
rispondevano degli scandali che potessero nascere; e il Vergerio si
tenne per avvisato, e si ritirò. Ma nel 1563 il nunzio papale Visconti
scriveva da Trento a san Carlo, essersi per lettere del monsignor di
Como inteso che il Vergerio si trovava in Valtellina, predicando ogni
male del Concilio. Poi, mentre aveva perduta l'alta sua posizione nel

clero cattolico, non acquistò la confidenza dei protestanti, perché libero
pensatore, e non aderendo a Lutero più che a Zuinglio, diveniva
sospetto a tutti. Il far episcopale che conservava ingelosì i ministri retici,
talché si ricoverò a Tubinga, dove morì al 1565 ed alcuni ne dispersero
le ceneri.
Così i Riformati già erano a lite fra loro. E anche in Valtellina i
rifuggiti, come avviene quando il senno individuale sottentra al comune,
mancava un punto d'accordo. Abbandonandosi all'orgoglio della libera
interpretazione mettevano fuori sottigliezze ed errori ogni giorno nuovi
e, intolleranti quanto coloro da cui si erano staccati, ognuno accusava
l'altro perché facesse uso di quella libera ragione sulla quale egli stesso
si appoggiava. In esecrare il papa e riprovar la chiesa cattolica e
abbattere il clero erano unanimi, ché facile è accordarsi nell'odio e nella
negazione. Ma quando si venisse ai dogmi, nasceva quella confusione
che è inevitabile ove ognuno ha diritto d'essere interprete della parola
di Dio. Repudiato poi il simbolo cattolico, che pure traeva autorità
dall'ispirazione superna, qual ragione doveva legarli al simbolo
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