Il Principe della Marsiliana | Page 7

Emma Perodi
elezioni, suggerita dal bisogno di procacciarsi dei voti, no, quest'idea �� stata lungamente studiata ed elaborata dal nostro candidato."
Il principe meravigliato da quelle parole, e credendo di sognare, non osava alzar gli occhi per non incontrare quelli dell'oratore n�� quelli del Rosati, il quale con la testa dava lievi segni di approvazione e ammirava la furberia e la sfacciataggine di Caruso.
"Io, che seguii quel lavor��o paziente ed accurato, degno di una mente vasta e educata a tutte le pi�� nobili discipline dell'economia moderna, io che ebbi l'onore di essere il confidente del principe durante lo svolgimento della nobile idea, io posso esporvi il vasto piano concepito da don Pio Urbani. Egli vorrebbe vedere Roma circondata da una cintura di ferrovia che avesse la stazione principale qui nel Trastevere, quella di smistamento a San Giovanni e quella di piccola velocit�� ai Prati di Castello. Inutile dirvi che l'attuazione di questo disegno farebbe salire enormemente il prezzo dei terreni nelle tre localit�� indicate e darebbe un grande sviluppo alle costruzioni, portando qui, dove specialmente siamo, molta gente, molte forze e molto denaro."
Don Pio, bench�� assuefatto a non meravigliarsi di nulla, era assolutamente annichilito da tanta sfacciataggine, e continuava a tenere gli occhi nel piatto. Da principio, udendo Caruso, aveva provato la voglia di fare una risatina sarcastica, ora s'era fatto serio perch�� capiva che quell'uomo s'imponeva a lui in forza del servizio resogli e creava fra di loro una specie di complicit��. Un resto di onest��, un sentimento di pudore lo spingevano a protestare, ma il pensiero del fine cui mirava, troncavagli le parole in bocca e lo induceva a lasciare che le cose andassero per la china su cui avevale avviate Caruso, purch�� riuscisse eletto.
I popolani del Trastevere, abbacinati da quel miraggio d'interessi e di guadagni, erano tutti concordi nel vedere in don Pio l'unico candidato, il solo candidato serio, e non pensavano pi�� alle simpatie della principessa della Marsiliana per i clericali, non osavano pi�� rimproverare al principe l'inerzia di cui aveva dato prova per il passato. Appena Caruso ebbe cessato di parlare, un evviva frenetico, accompagnato dall'inno di Garibaldi, echeggi�� per la sala bassa, tutte le mani si protesero per cozzare i bicchieri ricolmi, e don Pio, turbato, dovette partecipare al brindisi.
--In bocca al lupo,--gli disse Caruso avvicinando il proprio bicchiere a quello di don Pio.
--Grazie,--disse il principe, guardandolo senza sorridere.
Fabio Rosati s'era alzato e andava da una tavola all'altra distribuendo strette di mano, raccogliendo le parole lusinghiere per il principe con l'intenzione di ripetergliele poi.
--Ve lo dicevo che non c'era altri che lui, che il voto era ben dato?--ripeteva egli a quanti gli parlavano della stazione in Trastevere.--Bella mente, idee larghe, idee nuove e un cuore d'oro.
In quel tempo don Pio era assalito dalle domande dell'on. Serminelli, il quale voleva gli svolgesse meglio l'idea cui aveva accennato. Don Pio, non sapendo che cosa rispondere, guardava Caruso, ma questi aveva attaccato discorso con un popolano, che aveva accanto, e fingeva di non badare a lui.
--Ma �� una sorpresa che ci avete fatta,--diceva l'onorevole il quale aveva nel principe uno dei pi�� validi elettori, poich�� don Pio era un grande proprietario di terreni sul Fucino.
Don Pio esit�� a rispondere, ma finalmente, accettando la situazione tal quale avevala creata Caruso, disse:
--Ci voleva la bomba, ci voleva, non vi pare?
Caruso intanto, con le orecchie tese, non perdeva una parola di quanto diceva il principe della Marsiliana e gongolava lasciando pendere il labbro inferiore, e ponendosi i pollici nei taschini della sottoveste con un fare di grasso beato.
Tutti erano contenti, tutti, anche il sor Domenico, il quale andava ripetendo fra i suoni stanchi della musica che l'elezione era assicurata, tutti, meno Fabio Rosati, il quale provava pel Caruso un senso di repulsione e nella sua onest�� si meravigliava che il principe tacesse, che il principe tollerasse quello che a lui pareva un insulto.
Ma come avviene spesso, invece di togliere a don Pio la grande stima che gli tributava da lungo tempo, da quando si era mostrato verso di lui affabile e cortese e lo aveva trattato molto diversamente da quel che non sogliano i signori del patriziato romano con i cittadini, nei quali credono di veder sempre dei clienti, Fabio se la prendeva con Caruso e sentiva accrescere immensamente la repulsione che quell'uomo gi�� inspiravagli. Con un colpo d'occhio capiva l'influenza che quell'intruso dall'aspetto volgare avrebbe presa sul principe e gli doleva che per essere eletto dovesse sottoporsi a quel giogo.
Le voci avvinazzate formavano un frastuono tremendo nella sala bassa e sotto il pergolato; un odore nauseabondo di vino versato, di pietanze, di cattivi sigari, di gente sudicia, riempiva l'aria, e don Pio incominciava a sentirsi a disagio in quel luogo ed era stanco e nauseato. Per questo, fatto un cenno al Rosati, si alz�� e, accompagnato dal sor Domenico, dalla sora Lalla
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