Il Designato | Page 6

Luciano Zuccoli
stanza da letto,
nervosamente allegra, perchè al giuoco della notte indecisa vi faceva
robusto divario la luce artificiale; erano accesi i due bracci a candela
dell'armadio, le due lampade sul caminetto e la lampada pensile nel
mezzo. Poi, aleggiava un profumo acuto di fiori, raccolti in coppe,
morenti con furiose dispersioni d'ebrietà.
Appoggiato al davanzale della finestra, vedendo ma non osservando il
rimpiattino della luna, io meditava.
Era necessario lasciare scorrere un certo lasso di tempo affinchè Lidia
non credesse la mia un'intempestiva sorpresa, un'invasione da barbaro.
Il suo cuore doveva battere a martello; era necessario lasciarlo calmare.
Io stesso aveva bisogno di guardare in faccia il fenomeno di questa
vergine lanciatami fra le braccia dalla legge, datami esultando da sua
madre, perchè la trasformassi in donna, con un mezzo che due giorni
avanti si sarebbe chiamato il disonore.
Con maravigliosa mutazione, pel semplice fatto che l'amore, così
insofferente di forme e di nomi, aveva preso nome e forma di
matrimonio, tutto quanto era proibito, condannato, scandaloso prima,
diventava lecito, onesto, doveroso adesso; un bacio, un abbraccio, una
notte, più notti, un giorno, più giorni d'intimità, erano cosa buona; e se
io avessi dato il bacio, tentato l'abbraccio, passata una notte con Lidia,
avanti ch'io avessi potuto chiamarmi suo marito, Lidia sarebbe stata
perduta, e suo padre avrebbe avuto il diritto d'uccidermi e di farsi
applaudire come un istrione alla ribalta.
Ciò non era logico, ma necessario, il che è ben diverso; tanto diverso
che la considerazione de' miei diritti improvvisi su Lidia mi dava un
umor chiaro, allegro, piacevole.
Sapevo il significato di quanto era per avvenire; significato di sì grande
rilievo che da esso dipendon quasi sempre le sorti di due esistenze.

Mi richiamavo alla memoria delle letture fatte sull'argomento in altra
età, per una speranza di possibile eclettismo che mi servisse di guida;
ma mi sembravano ingenue o inadatte al paragone. L'unica mia guida
dovevo essere io medesimo e trovare nel mio passato quelle cortesie, e
quelle delicatezze e quelle audacie che l'esperienza m'aveva insegnate
ottime, se non in casi identici, almeno in casi di qualche somiglianza
col presente, se non in una prima notte di matrimonio, almeno in una
prima notte.
Accostarmi a Lidia come un amante a un'amante, era possibile e bello;
ma Lidia, la mia amante, era una fanciulla e il nostro amore non aveva
termine, e ogni falso o corrotto insegnamento si sarebbe trasformato in
un germe pericoloso del quale avrei colto io il frutto.
Quindi, potevo e dovevo essere l'amante, ma un amante castigato,
limitato, rettissimo.
Volgendo nel mio animo questi pensieri, m'ero ritratto dalla finestra ed
ero venuto ad appoggiarmi colle braccia sul marmo del cassettone.
Innanzi, lo specchio mi rifletteva pallido con un sorriso un po' convulso,
e la lucentezza dello sparato chiuso quadratamente nell'abito, mi dava
un'aria quasi severa.
Il profumo dei fiori vibrava fortissimo alle nari; dall'uno lato e dall'altro
dello specchio, due vasi di porcellana traboccavan di narcisi e di
garofani e d'anemoni e d'altri fiori vigorosi. Levai dal gruppo folto una
gardenia, che soffriva più dei compagni e la passai nell'occhiello.
C'eran molte persone, le quali pensavano a noi in quell'istante. La
nuova del mio matrimonio s'era sparsa per Milano e fuori con rapidità e
maraviglia. Gli amici non si figuravano me nella notte presso Lidia?
non analizzavano con cinica irreverenza il nostro amore che s'iniziava?
nell'ombra non si preparavan già delle insidie? Io avrei trovati i mezzi
d'intercludere il passaggio a qualunque insidia tesa sulla via della mia
donna.
E anche questo dipendeva dal momento in cui ero. Laura Uglio non era
tornata dalla prima notte di matrimonio così nauseata, da giustificare il
suo adulterio avvenuto tre mesi dopo? Angela Tintaro non aveva nella
prima notte di matrimonio giurato di darsi a una donna, e a uomini mai
più? Quanti mariti maldestri non avevano in poche ore mutata una
fanciulla in un'impura colomba, presto insaziabile? Aneddoti sparsi
nelle mie memorie, dei quali capivo a un tratto la sapienza....

Secchi e sonori per l'amico silenzio, l'orologio del giardino diffuse
dodici colpi.
Li contai adagio, smorzai i lumi, lasciando accesa la sola lucerna
pensile. Mi diedi un ultimo sguardo nello specchio: la gardenia, lo
sparato candido, l'abito nero, anche il viso molto pallido, sembravano
giovarmi. Al momento d'aprir l'uscio, ero tranquillo; meglio, ero ilare e
sicuro di me; avevo un indiavolato bisogno di scherzare. Apersi, passai
nel salotto oscuro, ma grave di profumi come la mia camera. Un sottil
filo di luce rosseggiava sotto l'uscio della stanza di Lidia: troppo
intenso, non poteva provenire dalla lucerna da veglia; era la luce d'una
lampada portatile. Posta dove? Non presso il capezzale.
Lidia aveva fatta un'illuminazione nervosa come la mia?
Bussai leggiermente alla porta di Lidia, e mi sentii sorridere.
L'orologio ribattè i dodici colpi nel giardino. Che lampo era stato
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