Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 1 | Page 7

Giovanni Boccaccio
crucciata; che pare a tutte.
Che dir�� de' loro costumi? Se io vorr�� mostrare come e quanto essi sieno tutti contrari alla pace e al riposo degli uomini, io tirer�� in troppo lungo sermone il mio ragionare; e per�� uno solo, quasi a tutte generale, basti averne detto. Esse immaginano il bene operare ogni menomo servo ritener nella casa, e il contrario fargli cacciare; per che estimano, se ben fanno, non altra sorte esser la lor che d'un servo: per che allora par solamente loro esser donne, quando, male adoperando, non vengono al fine che' fanti fanno. Perch�� voglio io andare dimostrando particularmente quello che gli pi�� sanno? Io giudico che sia meglio il tacersi che dispiacere, parlando, alle vaghe donne. Chi non sa che tutte l'altre cose si pruovano, prima che colui, di cui debbono esser, comperate, le prenda, se non la moglie, accioch�� prima non dispiaccia che sia menata? A ciascuno che la prende, la conviene avere non tale quale egli la vorrebbe, ma quale la fortuna gliele concede. E se le cose che di sopra son dette son vere (che il sa chi provate l'ha), possiamo pensare quanti dolori nascondano le camere, li quali di fuori, da chi non ha occhi la cui perspicacit�� trapassi le mura sono reputati diletti. Certo io non affermo queste cose a Dante essere avvenute, ch�� nol so; comech�� vero sia che, o simili cose a queste, o altre che ne fosser cagione, egli, una volta da lei partitosi, che per consolazione de' suoi affanni gli era stata data, mai n�� dove ella fosse volle venire, n�� sofferse che l�� dove egli fosse ella venisse giammai; con tutto che di pi�� figliuoli egli insieme con lei fosse parente. N�� creda alcuno che io per le su dette cose voglia conchiudere gli uomini non dover t?rre moglie; anzi il lodo molto, ma non a ciascuno. Lascino i filosofanti lo sposarsi a' ricchi stolti, a' signori e a' lavoratori, e essi con la filosofia si dilettino, molto migliore sposa che alcuna altra.

VIII
OPPOSTE VICENDE DELLA VITA PUBBLICA DI DANTE
Natura generale �� delle cose temporali, l'una l'altra tirarsi di dietro. La familiar cura trasse Dante alla publica, nella quale tanto l'avvilupparono li vani onori che alli publici ofici congiunti sono, che, senza guardare donde s'era partito e dove andava con abbandonate redine, quasi tutto al governo di quella si diede; e fugli tanto in ci�� la fortuna seconda, che niuna legazion s'ascoltava, a niuna si rispondea, niuna legge si fermava, niuna se ne abrogava, niuna pace si faceva, niuna guerra publica s'imprendeva, e brievemente niuna diliberazione, la quale alcuno pondo portasse, si pigliava, s'egli in ci�� non dicesse prima la sua sentenzia. In lui tutta la publica fede, in lui ogni speranza, in lui sommariamente le divine cose e l'umane parevano esser fermate. Ma la Fortuna, volgitrice de' nostri consigli e inimica d'ogni umano stato, comech�� per alquanti anni nel colmo della sua rota gloriosamente reggendo il tenesse, assai diverso fine al principio rec�� a lui, in lei fidantesi di soperchio.

IX
COME LA LOTTA DELLE PARTI LO COINVOLSE
Era al tempo di costui la fiorentina cittadinanza in due parti perversissimamente divisa, e, con l'operazioni di sagacissimi e avveduti prencipi di quelle, era ciascuna assai possente; intanto che alcuna volta l'una e alcuna l'altra reggeva oltre al piacere della sottoposta. A volere riducere a unit�� il partito corpo della sua republica, pose Dante ogni suo ingegno, ogni arte, ogni studio, mostrando a' cittadini pi�� savi come le gran cose per la discordia in brieve tempo tornano al niente, e le picciole per la concordia crescere in infinito. Ma, poi che vide essere vana la sua fatica, e conobbe gli animi degli uditori ostinati; credendolo giudicio di Dio, prima propose di lasciar del tutto ogni publico oficio e vivere seco privatamente; poi dalla dolcezza della gloria tirato e dal vano favor popolesco e ancora dalle persuasioni de' maggiori; credendosi, oltre a questo, se tempo gli occorresse, molto pi�� di bene potere operare per la sua citt��, se nelle cose publiche fosse grande, che a s�� privato e da quelle del tutto rimosso (oh stolta vaghezza degli umani splendori, quanto sono le tue forze maggiori, che creder non pu�� chi provati non gli ha!): il maturo uomo e nel santo seno della filosofia allevato, nutricato e ammaestrato, al quale erano davanti dagli occhi i cadimenti de' re antichi e de' moderni, le desolazioni de' regni, delle province e delle citt�� e li furiosi impeti della Fortuna, niun altro cercanti che l'alte cose, non si seppe o non si pot�� dalla tua dolcezza guardare.
Fermossi adunque Dante a volere seguire gli onori caduchi e la vana pompa dei publici ofici; e, veggendo che per se medesimo non potea una terza parte tenere, la quale, giustissima, l'ingiustizia dell'altre due abbattesse, tornandole ad unit��; con quella
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