ad ogni vostro comando.
DON IGNAZIO. Sappiate, madre mia, che da quel giorno--che non so si debba chiamarlo felice o infelice per me--che vidi la bellezza e l'oneste maniere di Carizia vostra nipote, m'hanno impiagata l'anima di sorte che, se voglio guarire, �� bisogno ricorrere a quel fonte donde sol pu�� derivar la mia salute.
ANGIOLA. Signor don Ignazio, so dove va a ferir lo strale del vostro raggionamento.
DON IGNAZIO. Non ad altro che ad onesto e onorato fine.
ANGIOLA. Perdonatemi se cos�� immodestamente vi rompo le parole in bocca. Sappiate che se ben Carizia mia nipote �� giovane, nasconde sotto quella sua et�� acerba virt�� matura, sotto quel capel biondo saper canuto, sotto quel petto giovenile consiglio antico; e se ben �� povera d'oro, l'onore non li fa conoscer bisogno alcuno, perch�� si stima ricca d'onore e di se stessa: e nella sua onest�� s'inchiude il suo tesoro e la sua dote. Onde non sperate che il falso splendor d'oro o di gioie le appanne gli occhi; n�� col mostrarvi vinto della sua bellezza, di vincer lei; o col mostrarvi ubidiente, trionfar della sua volont��; o col mostrarvi servo, signoreggiarla: perch�� il vostro sperar fia vano, e la moverete pi�� tosto ad odio che ad amarvi.
DON IGNAZIO. Signora, io n'ho pi�� timore veder i suoi lumi turbati di sdegno contra di me--da' quali depende il maggior contento ch'abbi nella vita--che perder l'istessa vita; e vi giuro per quel cielo e per Colui che ci alberga dentro, ch'amo le sue bellezze come modesto sposo e non come lascivo amante; ch�� chi ama la bellezza e non l'onore, non �� amante ma inimicissimo tiranno.
ANGIOLA. Dubito che non mi proponiate un infame amore sotto una onorata richiesta di nozze.
DON IGNAZIO. O Iddio, non mi conoscete nel fronte e negli occhi pregni di lacrime l'effetto della mia fede, che son ridotto all'ultimo termine della mia vita? ch�� se non voglio morire, son costretto toglierla per moglie?
ANGIOLA. Ditemi di grazia, che cosa desiate da lei?
DON IGNAZIO. Se non che pregarla che m'accetti per sposo, pur se non sdegna cos�� basso sogetto.
ANGIOLA. Non sapete voi meglio di me che questo ufficio convien farsi col padre e non con lei, perch�� non lice ad una donzella dispor di se stessa?
DON IGNAZIO. Io non cerco altro da lei in ricompensa del singular amar che le porto, che sia favorito da lei dirglielo con la bocca e con le mie orecchie sentir le sue parole e pascer per quel breve momento gli occhi miei avidi e affamati, in cos�� lungo digiuno, della sua vista; ch�� da quel giorno della festa non fu mai possibile di rivederla.
ANGIOLA. Se ben quel che mi chiedete non abbi molto dell'onesto, pure traporr�� l'autorit�� mia, per quanto val appo lei, d'indurlaci; ch��, raggionandosele de voi, ho conosciuto nel suo animo non so che di tacito consentimento. Fratanto che attendete la risposta, potrete trattenervi qui intorno, ch�� io vo' entrar in casa.
DON IGNAZIO. Che dici, Simbolo?
SIMBOLO. Ad una dura e faticosa impresa vi s��te posto.
DON IGNAZIO. Per lei tutte le fatiche e le durezze mi sono care; n�� mai le grandi imprese si vinsero senza gran fatiche.
SIMBOLO. Perdete il tempo.
DON IGNAZIO. E che tempo pi�� degnamente potr�� perdersi come nell'acquisto de s�� degno tesoro?
SIMBOLO. E che acquistate poi? l'amor d'una donna che si cambia di momento in momento.
DON IGNAZIO. S��, delle vili e populari; ma quelle di reale animo come costei, amando, amano insino alla morte.
SIMBOLO. Tutte le donne sono d'una medesima natura.
DON IGNAZIO. Tu poco t'intendi di nature di donne. Ma non ingiuriar lei perch�� ingiurii me: taci.
SIMBOLO. Taccio.
DON IGNAZIO. Gi�� fuggono le tenebre dell'aria, ecco l'aurora che precede la chiarezza del mio bel sole, gi�� spuntano i raggi intorno: veggio la bella mano che con leggiadra maniera alza la gelosia. O felici occhi miei, che siete degni di tanto bene!
SCENA III.
CARIZIA, DON IGNAZIO, SIMBOLO.
CARIZIA. Signor don Ignazio, poich�� Angiola mia zia mi fa fede della vostra onorata richiesta, io non ho voluto mancare dalla mia parte: eccomi, che comandate?
DON IGNAZIO. Io comandare, che mi terrei il pi�� avventurato uomo che viva, se fusse un minimo suo schiavo? Voi s��te quella che sola avete l'imperio d'ogni mia volunt��, e a voi sola sta impor le leggi e romperle a vostro modo.
CARIZIA. Vi priego a spiegarmi il vostro desiderio con le pi�� brevi parole che potete.
DON IGNAZIO. Signora della vita mia--e perdonatime si ho detto ?mia?, ch�� dal giorno che la viddi la consacrai alla vostra cara bellezza,--io non desio altro in questa vita che essere vostro sposo: e perdonate all'ardire che presume tanto alto.
CARIZIA. Caro signore, io ben conosco la disaguaglianza de' nostri stati e la mia umile fortuna, a cui non lice sperar sposo s�� grande di valore e di ricchezza come voi; per�� ricercate altra che sia pi�� meritevole d'un vostro pari, e lasciate
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