Gli duoi fratelli rivali | Page 7

Giambattista Della Porta
collo con un sacchetto di
pane che basti per quindici giorni, poi lo piglio per lo piede e me lo giro
tre volte per la testa e l'arrandello nel cielo. Marte, che sta aspettando,
come il vede, il prende e ferma; si non, che ne salirebbe sin alla sfera
stellata.
LECCARDO. A che effetto quel sacco di pane?
MARTEBELLONIO. Ché non si muoia di fame per la via.--Marte,
avendo inteso gli avisi, spedisce le provisioni e lo manda giú. Come il
veggio cader dal cielo come una nubbe, vengo in piazza e lo ricevo
nella palma; ché si desse in terra, se ne andrebbe fin al centro del
mondo.
LECCARDO. Che bevea? il mangiar il pane solo l'ingozzava e potea
affogarsi. O si morí di sete?
MARTEBELLONIO. Bevé un canchero che ti mangia!
LECCARDO. Oh s'è bella questa, degna di un par vostro!
MARTEBELLONIO. Ti vo' raccontar la battaglia ch'ebbi con la Morte.
LECCARDO. Non saria meglio che andassimo a bere due voltarelle per
aver piú forza, io di ascoltare e voi di narrare?

MARTEBELLONIO. Il ber ti apportarebbe sonno, ed io non te la
ridirei se mi donassi un regno. I miei fatti son morti nella mia lingua,
ma per lor stessi sono illustri e famosi e si raccontano per
istorie.--Sappi che la Morte prima era viva ed era suo ufficio ammazzar
le genti con la falce. Ritrovandomi in Mauritania, stava alle strette con
Atlante, il qual per esser oppresso dal peso del mondo era maltrattato
da lei. Io, che non posso soffrir vantaggi, li toglio il mondo da sopra le
spalle e me lo pongo su le mie....
LECCARDO. (Sará piú bella della prima!). Ditemi, quel gran peso del
mondo come lo soffrivano le vostre spalle?
MARTEBELLONIO. Appena mi bastava a grattar la rogna.--... Al fin,
lo posi sovra questi tre diti e lo sostenni come un melone....
LECCARDO. Quando voi sostenevate il mondo, dove stavate, fuori o
dentro del mondo?
MARTEBELLONIO. Dentro il mondo.
LECCARDO. E se stavate di dentro, come lo tenevate di fuori?
MARTEBELLONIO. Volsi dir: di fuori.
LECCARDO. E se stavate di fuori, eravate in un altro mondo e non in
questo.
MARTEBELLONIO. O sciagurato, io stava dove stava Atlante quando
anch'egli teneva il mondo.
LECCARDO. Ben bene, seguite l'abbattimento.
MARTEBELLONIO.... Mona viva, sentendosi offesa ch'avessi dato
aiuto al suo nemico, mi mirava in cagnesco con un aspetto assai torbido
e aspro, e con ischernevoli parole mi beffeggiava. La disfido ad
uccidersi meco: accettò l'invito, e perché avea l'elezion dell'armi, se
volse giocar la vita al ballonetto....
LECCARDO. Perché non con la falce?

MARTEBELLONIO. Ché ben sapea la virtú della mia dorindana.--...
Constituimmo per lo steccato tutto il mondo: ella n'andò in oriente, io
in occidente....
LECCARDO. Voi elegeste il peggior luogo, perché il sole vi feriva
negli occhi; e poi quello occidente porta seco malaugurio: che dovevate
esser ucciso.
MARTEBELLONIO. L'arte tua è della cucina e appena t'intendi se la
carne è ben allessa. Che téma ho io del sole? con una cèra torta lo fo
nascondere coperto d'una nube. Poi «uccidente» è quello che uccide: io
avea da esser l'uccidente, ella l'uccisa.
LECCARDO. Seguite.
MARTEBELLONIO.... Il ballonetto era la montagna di Mauritania. A
me toccò il primo colpo; percossi quella montagna cosí furiosamente,
che andò tanto alto che giunse al cielo di Marte, e non la fece calar giú
in terra per segno del valor del suo figlio....
LECCARDO. Cosí privasti il mondo di quella montagna. Ma quella
che ci è adesso, che montagna è?
MARTEBELLONIO. Oh, sei fastidioso! ascolta se vòi, se non, va' e
t'appicca.
LECCARDO. Ascolterò.
MARTEBELLONIO.... Ella dicea aver vinto il gioco, perché era
imboccato il ballonetto: la presi per la gola con duo diti e l'uccisi come
una quaglia, talché non è piú viva ed io son rimasto nel suo
ufficio.--Ma scostati da me, ch'or che mi sento imbizzarrito, che non ti
strozzi.
LECCARDO. Oimè, che occhi stralucenti!
MARTEBELLONIO. Guardati che qualche fulmine non m'esca dagli
occhi e ti brusci vivo.

LECCARDO. Tutta l'istoria è andata bene; ma ve sète smenticato che
non fu ballonetto ma ballon grande, e tanto grande che non si basta a
ingiottire. Ma io ti vo' narrar una battaglia ch'ebbi con la Fame.
MARTEBELLONIO. Che battaglie, miserello?
LECCARDO. La Fame era una persona viva, macra, sottile, ch'appena
avea l'ossa e la pelle; e soleva andar in compagnia con la Carestia, con
la Peste e con la Guerra, ché n'uccideva piú ella che non le spade. Ci
disfidammo insieme: lo steccato fu un lago di brodo grasso dove
notavano caponi, polli, porchette, vitelle e buoi intieri intieri; qui ci
tuffammo a combattere con i denti. Prima ch'ella si mangiasse un
vitello, io ne tracannai duo buoi e tutte le restanti robbe; e perché
ancora m'avanzava appetito e non avea che mangiare, mi mangiai lei:
cosí non
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