che ogni mia felicità innanzi alla fede e innanzi alla legge, era morta, ma che, in compenso, segretamente, io aveva per me la più bella forma di amore che dar si possa nella limitata e misera natura umana, e che potevo esser superba dell'adorazione di Giustino Morelli come del tesoro fra i tesori.
Pure, da questo esaltamento spirituale che io celava con tanta meravigliosa dissimulazione, nacque in me una sete più ardente di veder l'uomo che mi amava e che io amava, di stare con lui, di vivere insieme a lui. La mia casa e mio marito rappresentavano per me l'avversità, la tristezza, la mala compagnia, mentre la fantasia si fingeva il sole, la lietezza, la cara unione soltanto dove era Giustino Morelli. Cominciai a cercarlo più spesso: e quando lo ritrovavo, insieme alla espressione di immensa tenerezza, io vedeva in lui un senso di pena. Mi pentivo della mia ricerca, subito. Gli chiedevo:
--Ho fatto male, a cercarti?
--No, cara, hai fatto benissimo--diceva lui, dolcemente.
Ma quella dolcezza era anche triste. Forse, egli temeva per me.
--Perchè ti dispiace che io t'abbia cercato?--gli domandavo, ancora, crudelmente verso me e verso lui.
--Non mi dispiace.
--Sì, sì, ti dispiace!
--Oh Anna, non ripetere ciò.
--Allora, se non ti dispiace, vediamoci anche domani.
--...sì--diceva lui, dopo un minuto di esitazione.
Quella esitazione avvelenava la mia gioia. Scorgevo in lui, adesso, quello che prima non vi era mai stato, cioè una titubanza continua, una inquietudine che non arrivava a reprimere.
--Di che temi?--gli chiedevo, guardandolo negli occhi.
--Di nulla, cara--mi rispondeva, guardando in su, per isfuggire alle mie indagini.
--E mi ami, mi ami?
--Ti adoro--mormorava lui, con la intonazione antica, così schietta, così sgorgante dall'imo cuore. Ma presto, la mia insofferenza divenne spasimante. Io non poteva stare un giorno senza vederlo; avevo annullato in me ogni repulsione, venuta dal contatto di mio marito con Giustino Morelli, e pretendevo che egli, l'adoratore tenero e soave, vincesse il proprio ribrezzo.
--Non posso--mi diceva lui, piano, con amore, per togliere a questo rifiuto ogni durezza.
--Perchè non puoi?
--Non lo so, ma non posso, Anna. Venire in casa tua, dove vi è lui, mi è insopportabile.
--Allora, non mi vuoi bene.
--Anna, te ne voglio infinitamente.
--Non è vero. Se me ne volessi, verresti da me. Vieni domani, vieni....
--Anna, non posso.
--Non mi ami, non mi ami! Se mi amassi, vorresti vedermi sempre.
--Io so amarti anche da lontano.
--Senza soffrire della lontananza?
--Senza soffrire.
--Avendo un'altra amante, allora?--arrivavo a dire, io, esasperata.
--Non commettere sacrilegio, cara. Io non adoro che te.
--Così, a traverso le sfere, come le stelle?
--Così--replicava lui, con tanta nobiltà, che io mi riteneva subito la più volgare fra le donne.
In quel tempo, per mia colpa, dunque--più tardi, poi, intesi che era per colpa di Giustino Morelli--io finii per intorbidare la sorgente di ogni mia consolazione. Mentre prima ogni sua tenerezza mi sembrava una ricca parte fattami dal destino, e ne ringraziavo questo destino, adesso non me ne contentavo più. Egli era sempre lo stesso uomo, aveva per me, sempre, un amore tutto di pietà, di rispetto, di ammirazione, di adorazione, ma mi sembrava freddissimo. Infine, io era giovane, bella, elegante, molto corteggiata, poichè la pessima condotta di mio marito, purtroppo, non era ignorata, malgrado le mie premure per nasconderla: e sentivo intorno a me, come l'incenso di un omaggio continuo che uomini giovani e belli abbruciavano nel desiderio dell'amor mio. Giustino Morelli mi pareva freddissimo. La passione violenta di Nino Stresa per Grazia, la mia amica, mi destava curiosità e invidia. Il paragone che facevo, ogni tanto, di Nino Stresa con Giustino Morelli mi faceva sempre più insistere nell'idea, che il mio amante--era egli, forse, un amante?--non provasse per me un amore forte e vivo, come si sente quando si è giovani, quando il sangue è caldo, quando la donna si è già data a voi col suo cuore.
--Perchè sei così freddo?--era la mia interrogazione costante.
--Freddo, ti pare?
--Non mi pare: sei freddo.
--Niuno ti può amare più di me, Anna.
--Non ti vantare. Tu mi ami poco.
--Taci, anima mia. taci.
--Io non ti piaccio--soggiungevo io.
--Nessuna persona mi piace più di te, te lo giuro.
--Non ti credo.
--Che debbo fare, perchè tu lo creda?--mi replicava lui tristamente.
--Non so--rispondevo io, glacialmente.
Giacchè egli diventava più triste, a ogni nuovo colloquio e la mia anima si gelava. Talvolta, lo sorprendevo che mi guardava con ansietà, soffrendo di non so quale strano e ignoto dolore: il mio sgomento diventava grande. La sua voce era infranta, nel parlarmi: più spesso taceva, assorbito.
--A che pensi, amore?
--Non penso, sogno, cara.
--Che sogni?
--Un solo sogno, il tuo amore, Anna.
--Non lo hai qui, presente, reale, vivo, caldo?
--...sì--diceva lui dopo un dubbio.
--Come? Ti piace meglio il sogno?
--Forse--mormorava lui brevemente.
Invece, in me, la vita urgeva. Nella mia casa e con mio marito, ogni pazienza, ogni indulgenza era finita. Il legame con quell'uomo mi era insoffribile, e tutte le ribellioni accumulate nel fondo del cuore sorgevano in armi per vincere. Io voleva la mia parte
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