Galatea | Page 4

Anton Giulio Barrili
e il largo viale che si stende nel mezzo dovrebbe condurre ad un castello, ad un palazzo, ad un nobile edifizio, insomma. Cerca cerca, l'edifizio non c'è; neanche le rovine. Meglio così; le rovine non avrebbero carattere; un edifizio in piedi, abitato e custodito, mi costringerebbe a girar largo, per non dar noia o non riceverne dai suoi possessori. Quel gran viale, bontà sua, ti conduce ad una vasta prateria, ad una conca, ad un anfiteatro di verdura, più nobile di qualsivoglia edifizio. Che bellezza! e che pace, compimento di bellezza! Il dolce piano, leggermente incavato, è tutto un tappeto di verde tenero, che si ravviva di toni gialli al sorriso del sole; screziato a capriccio dalle candide rappe delle piantaggini tremolanti alla brezza sui loro elegantissimi steli, o dai rossi calici spampanati dei rosolacci in ritardo; rotto a larghi intervalli, o infoscato sui lembi, da cesti di sermollino, da ciuffi di règamo, da cespugli di mentastro. In capo alla prateria, che sale via via come il labbro d'una coppa di malachite, sorge e si spande una siepe di carpinelle, oltre la quale si leva la costa del poggio, tutta densa di castagni fino al suo colmo, donde sbuca un campanile aguzzo e trapela il tetto della chiesuola di Santa Giustina.
Non conosco la santa, e non ho ancora veduto il santuario. è la prima volta che mi decido a passare il fiume, e che quel campanile m'invita. Dicono che il fulmine l'abbia già visitato due volte. Certo, il fulmine è più volenteroso alpinista di me; ed anche più allegro. Lo ha notato il poeta nella indimenticabile strofa:
Il gentile terremoto Con l'amabile suo moto Diroccava le città;
Ed il fulmine giulivo Che non lascia uomo vivo Saltellava qua e là.
Facciamoci avanti. Tra la siepe delle carpinelle e le falde del monte, serrata ai fianchi dal margine naturale del terreno e da quello di un rialto artificiale tutto vestito di zolle verdeggianti, corre un'acqua profonda, limpida e cristallina. Ah, capisco finalmente perchè il fiume abbia sete. Gli han fatto una pescaia molto più in su, e l'acqua se ne viene da un lato, per il suo canaletto, mormorando il suo saluto alle felci e ai capelveneri, cheta cheta immollando il terreno senza corroderlo. Quante erbe ci vivono, in quella grazia di Dio. succhiandola con mille e mille radici! quanti fiori ci pendon sopra, come se volessero covarla con gli occhi innamorati! Fiorellini, fiorellini, oserò dir io i vostri nomi, nella barbara lingua dotta che voi non sapete? Nella lingua del paese non li so io, e non ho tempo da perdere, volendo piuttosto ammirarvi. Il vostro nome è bellezza; e questo in tutte le lingue del mondo. Uno di essi è bianco di latte, e la sua corolla piccina, fatta di quattro petali spanti, pesa ancor molto sulla lunga asticciuola filiforme. Dev'esser zuccherino, il suo calice, perchè troppo volentieri gl'insetti vanno ad immergere il muso là dentro. Un altro ha il gambo più grosso, almeno quanto un cordoncino di tre fili di refe; e porta in capo un tubetto rigonfio alla base, più stretto al collo, donde salgono arrovesciandosi quattro eleganti lacinie, per mezzo alle quali guardando s'intravvede nel fondo un giro di grumoletti d'oro, sospesi su tenui stami d'argento, come perle o gemme sulle punte d'una corona. A chi è destinato il tesoro? Qual genio minuscolo, della figliuolanza di Oberone e Titania, cingerà il grazioso diadema custodito in quell'urna di zaffiro? Non indaghiamo, non facciamo almanacchi. Vegetiamo, sia la parola d'ordine per me, come a Pertinace il suo "Militemus" come il suo "Laboremus" a Settimio Severo.
"Qui freno al corso," come dice David nella prima scena del Saul; qui siedo e me ne sto un paio d'ore al rezzo, contemplando i moscerini che volano nell'aria cupa, non trattenendo i pensieri che passano liberamente per l'anima, senza lasciarci una traccia. è in questo recesso ombroso una quiete, una calma tiepida, attraversata a quando a quando da soavissimi aliti di frescura, onde hai tutte le sensazioni del supremo benessere. Non so come sia che un miliardo e mezzo di creature, tra ragionanti, e sragionanti, sparse sulla faccia della terra, non l'abbiano ancora sentito. Capisco che per molti è questione di vivere, e i bisogni urgenti non danno agio a pensare: capisco ancora che la felicità suprema dell'estasi inerte richiede un alto grado di perfezione intellettuale. Ma tutti quelli che l'hanno raggiunto, quel grado, perchè si vengono moltiplicando senza ragione i bisogni? perchè vanno attorno cercando i malanni col lumicino? perchè ficcano la mano nel vaso di Pandora, rovistando nel fondo, se per caso ci fosse rimasto ancora un fastidio? A buon conto, io non mi prenderò quello di salire a Santa Giustina. Si sta qui tanto bene, mezzo appoggiati e mezzo seduti sulla spalla dell'argine! Passano a coppie le farfalle, pieridi e vanesse dorate, rincorrendosi
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