Fino a Dogali | Page 7

Alfredo Oriani
sono così grandi!
Ma Don Giovanni alzò finalmente il capo. Il semicerchio delle bandiere si era stretto in quel tumulto intorno ai capi della tavola, cosicchè una arrivava quasi a toccarlo colla lancia dorata. Egli la vide, corse collo sguardo su tutte le altre, che gli si appuntavano quasi al petto, cercando ansiosamente il Generale.
Garibaldi era là, vestito come nelle battaglie, sorridendo come da vivo in faccia alla morte, come un immortale per cui le follie della gratitudine o della sconoscenza non hanno più valore, buono ma altero, ora che il genio della sua vita, compiuta l'opera, era salito nella storia.
--Viva Garibaldi! tuonò la moltitudine, che comprese per istinto quello sguardo di Don Giovanni.
Don Giovanni si volse, aperse la bocca, fece un gesto vivace, urlando forse un viva Garibaldi che non s'intese e ricadde seduto, quasi intendendo così di scomparire nella gloria del generale che aveva salvato, dell'amico che aveva perduto.
Il comizio proseguì.
Molti oratori parlarono commentando la vita di Garibaldi, ma il popolo restava freddo, malgrado la voglia che tutti avevano di commuoversi e di applaudire. I discorsi male concepiti, peggio pronunciati, fors'anco poco intesi passavano nel silenzio del pubblico come un mormorio insignificante. Le bandiere ritte intorno al ritratto del Generale non squassavano più, l'inno dell'epopea garibaldina era cessato da un pezzo. I suonatori borghesemente vestiti non si discernevano nella folla.
Al banco della stampa i giornalisti scrivevano con atteggiamenti e velocità di copisti.
E appena un oratore finiva ne sorgeva un altro: parevano una nidiata di pulcini uscenti dal pollaio per pigolare intorno al cadavere di un'aquila.
Che ne sapevano essi di quest'aquila, che aveva visitato tutte le terre, valicato tutti gli oceani, gridato vittoria sull'albero di cento navi, sulle torri di cento fortezze, sulla cima di cento bastioni, sulle Alpi e sulle Cordigliere, sul Campidoglio e sull'Etna, aspettata e conosciuta da tutti i popoli? Che ne sapevano essi di quest'aquila così tremenda e così mite, così indomabile e così mansueta, che figlia delle aquile romane e napoleoniche aveva lacerato l'aquila bicipite d'Asburgo fra gl'inni di tutti i poeti e gli anatemi di tutti i papi, mentre al suo strido i falchi della plebe rispondevano esultando dai tetti e i gallinacci della borghesia fuggivano chiocciando per i cortili a riparare nelle stalle?
Che ne sapevano essi?
Quale dei molti garibaldini accalcati nel teatro aveva una coscienza chiara ed intera della epopea cui aveva preso parte? Chi aveva capito il significato delle sue battaglie così piccole militarmente e delle sue vittorie moralmente così grandi?
In questo secolo che comincia con Napoleone e si chiude con de Moltke, perchè Garibaldi un soldato quasi di ventura che comandò sempre pochi battaglioni, un ignaro che dalle scuole non apprese nulla e alle scuole non lascia nulla, che veniva non si sa donde e andava dove pochi, oggi egli morto, sanno ancora: che predicava la pace in mezzo alle battaglie, creava una nazione con una piccola orda di armati, fondava una monarchia affermando una repubblica, regalava libertà ai popoli e reami ai re, conquistava una patria agl'italiani e perdeva la propria, rovinava il papato in faccia al mondo e assicurava la repubblica francese contro l'Impero germanico, moriva a Caprera nudo e povero come lo scoglio al quale nudo e povero aveva approdato: perchè Garibaldi che i centurioni degli eserciti stanziali deridevano, che i ministri spregiavano, che i popoli stessi sembravano abbandonare, perchè morendo diventava così incredibilmente grande e soverchiava Napoleone e Moltke, e tutti dall'America adolescente all'Asia decrepita, dall'Europa ancora centro della civiltà all'Africa ancora teatro della preistoria, dall'Australia che essendo una terra non è ancora potuto diventare un paese; perchè tutti dalle steppe della Russia dove un vero dispotismo schiaccia alle officine d'Inghilterra dove una falsa libertà assassina, dalle foreste germaniche ancora dominate da castelli feudali ai monti spagnuoli ancora ammalati di conventi cattolici, dalle isole che il mare fece libere e altere alle immense valli continentali tuttavia ombrate da millenarie monarchie; perchè da tutti i poveri, da tutti gl'infelici, da tutti i poeti, da tutti i prodi, da tutti i lavoratori, da tutti i pensatori, da tutti i giovani che anelano alla vita non conoscendola, da tutti i vecchi pronti ad abbandonarla avendola troppo conosciuta, scoppiava il medesimo sentimento, erompeva il medesimo urlo: Garibaldi non può essere morto, non deve essere morto, non è morto: evviva Garibaldi!
Forse appunto perchè era morto allora allora, nessuno poteva anco riconoscerlo bene.
Pochi sono gli occhi capaci di abbracciare tutto un paesaggio trascorrendolo, meno ancora gl'ingegni così larghi da comprendere tutto un fatto nel quale abbiano vissuto ed agito.
Come ogni vero grand'uomo, Garibaldi è un immenso viluppo di contraddizioni, che la sua anima unificava, ma nel quale gli altri si perdono analizzando.
Gli oratori del comizio non vi si smarrivano nemmeno perchè non vi arrivavano.
Nessuno di loro si chiedeva il significato della nostra risurrezione, il perchè l'Italia e la Grecia dopo diecine di secoli
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