Fino a Dogali | Page 6

Alfredo Oriani
il Generale era morto.
Perchè dunque applaudire? Garibaldi era morto!
Le bandiere sempre più chinate parevano cadere, il volto del prete piegato sul petto si era coperto di un pallore cadaverico.
Era la festa della morte.
Garibaldi era morto, Don Giovanni non tarderebbe molto a morire.
Lo osservai.
Benchè tutti fossero ritti intorno alla tavola, la sua figura spiccava singolarmente. Non era nè molto alto nè molto grosso, ma si sentiva ancora in lui una vigoria senile, che rendeva facilmente credibili tutte le avventure eroiche della sua gioventù. Il suo soprabito nero da prete non differiva quasi più dagli abiti degli altri signori del Comitato, ora che la testa china tristamente sul busto gli nascondeva il collare.
Capelli grigi e duri la coprivano così che la chierica vi si distingueva appena. Una profonda commozione lo sopraffaceva. La bufera dell'applauso passando sopra la sua testa, pareva piegarla senza scuoterla, mentre le bandiere curve al pari di lui sotto lo sguardo del Generale in una tragica stanchezza ubbidivano forse al medesimo irresistibile senso di morte, che l'entusiasmo soldatesco di quella ovazione non vinceva più.
Io lo osservavo.
Le sue mani ossute, brune dal sole di tutta una vita di caccia, e più scure in quella penombra, tremavano sul cappello da prete posato ingenuamente sul tavolo: lo sforzo come di un singhiozzo represso gli sollevava a volta a volta le spalle. Improvvisamente con atto affaticato, disperato di naufrago, sollevò la testa.
Era un bel volto nero di contadino dai lineamenti angolosi, livido in quel momento e nullameno impresso d'una grande aria di bontà. La fronte naturalmente bassa erasi alquanto alzata in un principio di calvizie, che pel colore più bianco della pelle la cingeva come di una benda; l'arco dei sopraccigli vigoroso e sporgente ombrava senza nasconderlo il suo sguardo scintillante di cacciatore. Tutto il volto raso e rugoso tremava di una commozione, che metteva come un sorriso in tutti i suoi lineamenti modellati robustamente sulle ossa. Gli zigomi erano sporgenti, il mento quasi quadro come negli uomini capaci di forti azioni, gli occhi rotondi, il loro colore non si distingueva, acuti e vibranti come quelli di un falco. Ma la sua bocca colle labbra di un rosso cupo di mattone lasciava vedere i denti ancora bianchi a traverso un sorriso timido, che i fremiti di quel trionfo scomponevano ad ogni istante.
Stava piegato, ma era naturalmente un poco curvo.
Le sue spalle larghe e quadre si erano leggermente incurvate col peso degli anni; nullameno ognuno di quel popolo osannante avrebbe potuto ancora salirvi senza piegarle maggiormente. Garibaldi vi era montato per guadare un fiume rigonfio e lo avevano portato asciutto ed incolume all'altra riva. Era stato in una fosca notte di temporale scelta abilmente dall'eroico prete.
Se ne ricordava egli in quel momento, mentre tutta Faenza applaudiva e tutta l'Italia fremente e l'Europa stupita ripetevano il suo nome raccontando l'epico aneddoto di quella notte? Quando nel buio di quella tempesta notturna, al mattino della quale era così facile essere sorpresi e fucilati, giunti in riva al torrente aveva imposto a Garibaldi, l'intrepido marinaio invano recalcitrante, di salirgli sulle spalle colle semplici e superbe parole:
--Generale, voi conoscete il mare, ma io conosco il mio fiume! e si era lanciato nell'ombra entro l'acqua furiante: aveva egli pensato che verrebbe un giorno, nel quale tutto il mondo lo ringrazierebbe, e che la storia scriverebbe il suo nome sulla pagina breve e luminosa degli eroi di questo secolo?
Lo guardavo attentamente: ebbene, giurerei che anche allora egli era semplice ed ingenuo come in quell'istante nel quale rischiando la propria vita si era appena accorto del pericolo. Nessun orgoglio, nessuna spavalderia gli venivano da quel trionfo, nel quale tutti ingrossavano forse la voce per la speranza di farsi notare. La teatralità di quella scena antipatica malgrado la sincerità della commozione generale gli sfuggiva interamente; il suo volto restava tranquillo, le sue mani non facevano un gesto, mentre il suo orecchio sembrava non udire alcuno dei mille complimenti che i più vicini gli susurravano.
Tutti gli invitati del palcoscenico si erano stretti intorno a lui: nessuno osava toccarlo con una mano, ma le spalle e i volti si premevano sul suo. L'umiltà della sua posa umiliava quella gente tanto a lui inferiore e così superba del proprio strepito. Se tutti non volevano essere ringraziati, tutti avrebbero almeno preteso che egli sentisse per un minuto la sincera grandezza di quel trionfo meritato da tutta la sua vita.
Una profonda emozione s'era impadronita del mio animo.
Era dunque vero che tutti gli eroi fossero semplici e tutte le feste volgari? Nessun popolo per quanto buono o ingenuamente commosso, stringendosi colle lagrime della riconoscenza o col singhiozzo dell'entusiasmo intorno ad un eroe, non giungerebbe dunque mai a toccare la sua anima, poichè nella meraviglia universale per la propria azione questi sentirebbe la bassezza della umanità e l'insufficienza di ogni grandezza individuale?
L'umanità è dunque ben piccola se gli eroi
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