Divina Commedia: Purgatorio | Page 9

Dante Alighieri
quando si posa.
Pur Virgilio si trasse a lei, pregando?che ne mostrasse la miglior salita;?e quella non rispuose al suo dimando,
ma di nostro paese e de la vita?ci ’nchiese; e ’l dolce duca incominciava??Mantüa . . . ?, e l’ombra, tutta in sé romita,
surse ver’ lui del loco ove pria stava,?dicendo: ?O Mantoano, io son Sordello?de la tua terra!?; e l’un l’altro abbracciava.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,?nave sanza nocchiere in gran tempesta,?non donna di province, ma bordello!
Quell’ anima gentil fu così presta,?sol per lo dolce suon de la sua terra,?di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra?li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode?di quei ch’un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode?le tue marine, e poi ti guarda in seno,?s’alcuna parte in te di pace gode.
Che val perché ti racconciasse il freno?Iustin?ano, se la sella è vòta??Sanz’ esso fora la vergogna meno.
Ahi gente che dovresti esser devota,?e lasciar seder Cesare in la sella,?se bene intendi ciò che Dio ti nota,
guarda come esta fiera è fatta fella?per non esser corretta da li sproni,?poi che ponesti mano a la predella.
O Alberto tedesco ch’abbandoni?costei ch’è fatta indomita e selvaggia,?e dovresti inforcar li suoi arcioni,
giusto giudicio da le stelle caggia?sovra ’l tuo sangue, e sia novo e aperto,?tal che ’l tuo successor temenza n’aggia!
Ch’avete tu e ’l tuo padre sofferto,?per cupidigia di costà distretti,?che ’l giardin de lo ’mperio sia diserto.
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,?Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:?color già tristi, e questi con sospetti!
Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura?d’i tuoi gentili, e cura lor magagne;?e vedrai Santafior com’ è oscura!
Vieni a veder la tua Roma che piagne?vedova e sola, e dì e notte chiama:??Cesare mio, perché non m’accompagne??.
Vieni a veder la gente quanto s’ama!?e se nulla di noi pietà ti move,?a vergognar ti vien de la tua fama.
E se licito m’è, o sommo Giove?che fosti in terra per noi crucifisso,?son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
O è preparazion che ne l’abisso?del tuo consiglio fai per alcun bene?in tutto de l’accorger nostro scisso?
Ché le città d’Italia tutte piene?son di tiranni, e un Marcel diventa?ogne villan che parteggiando viene.
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta?di questa digression che non ti tocca,?mercé del popol tuo che si argomenta.
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca?per non venir sanza consiglio a l’arco;?ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;?ma il popol tuo solicito risponde?sanza chiamare, e grida: ?I’ mi sobbarco!?.
Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:?tu ricca, tu con pace e tu con senno!?S’io dico ’l ver, l’effetto nol nasconde.
Atene e Lacedemona, che fenno?l’antiche leggi e furon sì civili,?fecero al viver bene un picciol cenno
verso di te, che fai tanto sottili?provedimenti, ch’a mezzo novembre?non giugne quel che tu d’ottobre fili.
Quante volte, del tempo che rimembre,?legge, moneta, officio e costume?hai tu mutato, e rinovate membre!
E se ben ti ricordi e vedi lume,?vedrai te somigliante a quella inferma?che non può trovar posa in su le piume,
ma con dar volta suo dolore scherma.
Purgatorio · Canto VII
Poscia che l’accoglienze oneste e liete?furo iterate tre e quattro volte,?Sordel si trasse, e disse: ?Voi, chi siete??.
?Anzi che a questo monte fosser volte?l’anime degne di salire a Dio,?fur l’ossa mie per Ottavian sepolte.
Io son Virgilio; e per null’ altro rio?lo ciel perdei che per non aver fé?.?Così rispuose allora il duca mio.
Qual è colui che cosa innanzi sé?sùbita vede ond’ e’ si maraviglia,?che crede e non, dicendo ?Ella è . . . non è . . . ?,
tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,?e umilmente ritornò ver’ lui,?e abbracciòl là ’ve ’l minor s’appiglia.
?O gloria di Latin?, disse, ?per cui?mostrò ciò che potea la lingua nostra,?o pregio etterno del loco ond’ io fui,
qual merito o qual grazia mi ti mostra??S’io son d’udir le tue parole degno,?dimmi se vien d’inferno, e di qual chiostra?.
?Per tutt’ i cerchi del dolente regno?,?rispuose lui, ?son io di qua venuto;?virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
Non per far, ma per non fare ho perduto?a veder l’alto Sol che tu disiri?e che fu tardi per me conosciuto.
Luogo è là giù non tristo di martìri,?ma di tenebre solo, ove i lamenti?non suonan come guai, ma son sospiri.
Quivi sto io coi pargoli innocenti?dai denti morsi de la morte avante?che fosser da l’umana colpa essenti;
quivi sto io con quei che le tre sante?virtù non si vestiro, e sanza vizio?conobber l’altre e seguir tutte quante.
Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio?dà noi per che venir possiam più tosto?là dove purgatorio ha dritto inizio?.
Rispuose: ?Loco certo non c’è posto;?licito m’è andar suso e intorno;?per quanto ir posso, a guida mi t’accosto.
Ma vedi già come dichina il giorno,?e andar sù di notte non si puote;?però è buon pensar di bel soggiorno.
Anime sono a destra qua remote;?se mi consenti, io ti merrò ad
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