preso,
richiede
ancora aiuto a tua dispensa.
Apri la mente a quel ch’io ti paleso
e fermalvi entro; ché non fa scïenza,
sanza lo
ritenere, avere inteso.
Due cose si convegnono a l’essenza
di questo sacrificio: l’una è quella
di che si fa;
l’altr’ è la convenenza.
Quest’ ultima già mai non si cancella
se non servata; e intorno di lei
sì preciso di
sopra si favella:
però necessitato fu a li Ebrei
pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta
sì permutasse,
come saver dei.
L’altra, che per materia t’è aperta,
puote ben esser tal, che non si falla
se con altra
materia si converta.
Ma non trasmuti carco a la sua spalla
per suo arbitrio alcun, sanza la volta
e de la
chiave bianca e de la gialla;
e ogne permutanza credi stolta,
se la cosa dimessa in la sorpresa
come ’l quattro nel
sei non è raccolta.
Però qualunque cosa tanto pesa
per suo valor che tragga ogne bilancia,
sodisfar non si
può con altra spesa.
Non prendan li mortali il voto a ciancia;
siate fedeli, e a ciò far non bieci,
come Ieptè
a la sua prima mancia;
cui più si convenia dicer ‘Mal feci’,
che, servando, far peggio; e così stolto
ritrovar
puoi il gran duca de’ Greci,
onde pianse Efigènia il suo bel volto,
e fé pianger di sé i folli e i savi
ch’udir parlar di
così fatto cólto.
Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
non siate come penna ad ogne vento,
e non
crediate ch’ogne acqua vi lavi.
Avete il novo e ’l vecchio Testamento,
e ’l pastor de la Chiesa che vi guida;
questo vi
basti a vostro salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida,
uomini siate, e non pecore matte,
sì che ’l Giudeo di
voi tra voi non rida!
Non fate com’ agnel che lascia il latte
de la sua madre, e semplice e lascivo
seco
medesmo a suo piacer combatte!».
Così Beatrice a me com’ ïo scrivo;
poi si rivolse tutta disïante
a quella parte ove ’l
mondo è più vivo.
Lo suo tacere e ’l trasmutar sembiante
puoser silenzio al mio cupido ingegno,
che già
nuove questioni avea davante;
e sì come saetta che nel segno
percuote pria che sia la corda queta,
così corremmo nel
secondo regno.
Quivi la donna mia vid’ io sì lieta,
come nel lume di quel ciel si mise,
che più lucente
se ne fé ’l pianeta.
E se la stella si cambiò e rise,
qual mi fec’ io che pur da mia natura
trasmutabile son
per tutte guise!
Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura
traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
per
modo che lo stimin lor pastura,
sì vid’ io ben più di mille splendori
trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia:
«Ecco chi
crescerà li nostri amori».
E sì come ciascuno a noi venìa,
vedeasi l’ombra piena di letizia
nel folgór chiaro che
di lei uscia.
Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia
non procedesse, come tu avresti
di più savere
angosciosa carizia;
e per te vederai come da questi
m’era in disio d’udir lor condizioni,
sì come a li occhi
mi fur manifesti.
«O bene nato a cui veder li troni
del trïunfo etternal concede grazia
prima che la
milizia s’abbandoni,
del lume che per tutto il ciel si spazia
noi semo accesi; e però, se disii
di noi chiarirti,
a tuo piacer ti sazia».
Così da un di quelli spirti pii
detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì
sicuramente, e credi
come a dii».
«Io veggio ben sì come tu t’annidi
nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
perch’
e’ corusca sì come tu ridi;
ma non so chi tu se’, né perché aggi,
anima degna, il grado de la spera
che si vela a’
mortai con altrui raggi».
Questo diss’ io diritto a la lumera
che pria m’avea parlato; ond’ ella fessi
lucente più
assai di quel ch’ell’ era.
Sì come il sol che si cela elli stessi
per troppa luce, come ’l caldo ha róse
le
temperanze d’i vapori spessi,
per più letizia sì mi si nascose
dentro al suo raggio la figura santa;
e così chiusa
chiusa mi rispuose
nel modo che ’l seguente canto canta.
Paradiso · Canto VI
«Poscia che Costantin l’aquila volse
contr’ al corso del ciel, ch’ella seguio
dietro a
l’antico che Lavina tolse,
cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio
ne lo stremo d’Europa si ritenne,
vicino a’
monti de’ quai prima uscìo;
e sotto l’ombra de le sacre penne
governò ’l mondo lì di mano in mano,
e, sì
cangiando, in su la mia pervenne.
Cesare fui e son Iustinïano,
che, per voler del primo amor ch’i’ sento,
d’entro le leggi
trassi il troppo e ’l vano.
E prima ch’io a l’ovra fossi attento,
una natura in Cristo esser, non piùe,
credea, e di
tal fede era contento;
ma ’l benedetto Agapito, che fue
sommo pastore, a la fede sincera
mi dirizzò con le
parole sue.
Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era,
vegg’ io or chiaro sì, come tu vedi
ogni
contradizione e falsa e vera.
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
a Dio per grazia piacque di spirarmi
l’alto
lavoro, e tutto ’n lui mi diedi;
e al mio Belisar commendai
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