Divina Commedia: Paradiso | Page 9

Dante Alighieri
morte prese subitana e atra.
Con costui corse infino al lito rubro;?con costui puose il mondo in tanta pace,?che fu serrato a Giano il suo delubro.
Ma ciò che ’l segno che parlar mi face?fatto avea prima e poi era fatturo?per lo regno mortal ch’a lui soggiace,
diventa in apparenza poco e scuro,?se in mano al terzo Cesare si mira?con occhio chiaro e con affetto puro;
ché la viva giustizia che mi spira,?li concedette, in mano a quel ch’i’ dico,?gloria di far vendetta a la sua ira.
Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco:?poscia con Tito a far vendetta corse?de la vendetta del peccato antico.
E quando il dente longobardo morse?la Santa Chiesa, sotto le sue ali?Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
Omai puoi giudicar di quei cotali?ch’io accusai di sopra e di lor falli,?che son cagion di tutti vostri mali.
L’uno al pubblico segno i gigli gialli?oppone, e l’altro appropria quello a parte,?sì ch’è forte a veder chi più si falli.
Faccian li Ghibellin, faccian lor arte?sott’ altro segno, ché mal segue quello?sempre chi la giustizia e lui diparte;
e non l’abbatta esto Carlo novello?coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli?ch’a più alto leon trasser lo vello.
Molte f?ate già pianser li figli?per la colpa del padre, e non si creda?che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli!
Questa picciola stella si correda?d’i buoni spirti che son stati attivi?perché onore e fama li succeda:
e quando li disiri poggian quivi,?sì disv?ando, pur convien che i raggi?del vero amore in sù poggin men vivi.
Ma nel commensurar d’i nostri gaggi?col merto è parte di nostra letizia,?perché non li vedem minor né maggi.
Quindi addolcisce la viva giustizia?in noi l’affetto sì, che non si puote?torcer già mai ad alcuna nequizia.
Diverse voci fanno dolci note;?così diversi scanni in nostra vita?rendon dolce armonia tra queste rote.
E dentro a la presente margarita?luce la luce di Romeo, di cui?fu l’ovra grande e bella mal gradita.
Ma i Provenzai che fecer contra lui?non hanno riso; e però mal cammina?qual si fa danno del ben fare altrui.
Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,?Ramondo Beringhiere, e ciò li fece?Romeo, persona umìle e peregrina.
E poi il mosser le parole biece?a dimandar ragione a questo giusto,?che li assegnò sette e cinque per diece,
indi partissi povero e vetusto;?e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe?mendicando sua vita a frusto a frusto,
assai lo loda, e più lo loderebbe?.
Paradiso · Canto VII
?Osanna, sanctus Deus sabaòth,?superillustrans claritate tua?felices ignes horum malacòth!?.
Così, volgendosi a la nota sua,?fu viso a me cantare essa sustanza,?sopra la qual doppio lume s’addua;
ed essa e l’altre mossero a sua danza,?e quasi velocissime faville?mi si velar di sùbita distanza.
Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’?fra me, ‘dille’ dicea, ‘a la mia donna?che mi diseta con le dolci stille’.
Ma quella reverenza che s’indonna?di tutto me, pur per Be e per ice,?mi richinava come l’uom ch’assonna.
Poco sofferse me cotal Beatrice?e cominciò, raggiandomi d’un riso?tal, che nel foco faria l’uom felice:
?Secondo mio infallibile avviso,?come giusta vendetta giustamente?punita fosse, t’ha in pensier miso;
ma io ti solverò tosto la mente;?e tu ascolta, ché le mie parole?di gran sentenza ti faran presente.
Per non soffrire a la virtù che vole?freno a suo prode, quell’ uom che non nacque,?dannando sé, dannò tutta sua prole;
onde l’umana specie inferma giacque?giù per secoli molti in grande errore,?fin ch’al Verbo di Dio discender piacque
u’ la natura, che dal suo fattore?s’era allungata, unì a sé in persona?con l’atto sol del suo etterno amore.
Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona:?questa natura al suo fattore unita,?qual fu creata, fu sincera e buona;
ma per sé stessa pur fu ella sbandita?di paradiso, però che si torse?da via di verità e da sua vita.
La pena dunque che la croce porse?s’a la natura assunta si misura,?nulla già mai sì giustamente morse;
e così nulla fu di tanta ingiura,?guardando a la persona che sofferse,?in che era contratta tal natura.
Però d’un atto uscir cose diverse:?ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte;?per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse.
Non ti dee oramai parer più forte,?quando si dice che giusta vendetta?poscia vengiata fu da giusta corte.
Ma io veggi’ or la tua mente ristretta?di pensiero in pensier dentro ad un nodo,?del qual con gran disio solver s’aspetta.
Tu dici: “Ben discerno ciò ch’i’ odo;?ma perché Dio volesse, m’è occulto,?a nostra redenzion pur questo modo”.
Questo decreto, frate, sta sepulto?a li occhi di ciascuno il cui ingegno?ne la fiamma d’amor non è adulto.
Veramente, però ch’a questo segno?molto si mira e poco si discerne,?dirò perché tal modo fu più degno.
La divina bontà, che da sé sperne?ogne livore, ardendo in sé, sfavilla?sì che dispiega le bellezze etterne.
Ciò che da lei sanza mezzo distilla?non ha poi fine, perché non si move?la sua imprenta quand’ ella sigilla.
Ciò che da essa sanza mezzo piove?libero è tutto, perché non soggiace?a la virtute de le cose nove.
Più l’è conforme, e però più le piace;?ché l’ardor santo ch’ogne cosa raggia,?ne la più somigliante è più vivace.
Di tutte queste dote s’avvantaggia?l’umana
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