Divina Commedia: Paradiso | Page 6

Dante Alighieri
ch’una fansi nostre voglie stesse;
sì che, come noi sem di soglia in soglia?per questo regno, a tutto il regno piace?com’ a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia.
E ’n la sua volontade è nostra pace:?ell’ è quel mare al qual tutto si move?ciò ch’ella cr?a o che natura face?.
Chiaro mi fu allor come ogne dove?in cielo è paradiso, etsi la grazia?del sommo ben d’un modo non vi piove.
Ma sì com’ elli avvien, s’un cibo sazia?e d’un altro rimane ancor la gola,?che quel si chere e di quel si ringrazia,
così fec’ io con atto e con parola,?per apprender da lei qual fu la tela?onde non trasse infino a co la spuola.
?Perfetta vita e alto merto inciela?donna più sù?, mi disse, ?a la cui norma?nel vostro mondo giù si veste e vela,
perché fino al morir si vegghi e dorma?con quello sposo ch’ogne voto accetta?che caritate a suo piacer conforma.
Dal mondo, per seguirla, giovinetta?fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi?e promisi la via de la sua setta.
Uomini poi, a mal più ch’a bene usi,?fuor mi rapiron de la dolce chiostra:?Iddio si sa qual poi mia vita fusi.
E quest’ altro splendor che ti si mostra?da la mia destra parte e che s’accende?di tutto il lume de la spera nostra,
ciò ch’io dico di me, di sé intende;?sorella fu, e così le fu tolta?di capo l’ombra de le sacre bende.
Ma poi che pur al mondo fu rivolta?contra suo grado e contra buona usanza,?non fu dal vel del cor già mai disciolta.
Quest’ è la luce de la gran Costanza?che del secondo vento di Soave?generò ’l terzo e l’ultima possanza?.
Così parlommi, e poi cominciò ‘Ave,?Maria’ cantando, e cantando vanio?come per acqua cupa cosa grave.
La vista mia, che tanto lei seguio?quanto possibil fu, poi che la perse,?volsesi al segno di maggior disio,
e a Beatrice tutta si converse;?ma quella folgorò nel m?o sguardo?sì che da prima il viso non sofferse;
e ciò mi fece a dimandar più tardo.
Paradiso · Canto IV
Intra due cibi, distanti e moventi?d’un modo, prima si morria di fame,?che liber’ omo l’un recasse ai denti;
sì si starebbe un agno intra due brame?di fieri lupi, igualmente temendo;?sì si starebbe un cane intra due dame:
per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo,?da li miei dubbi d’un modo sospinto,?poi ch’era necessario, né commendo.
Io mi tacea, ma ’l mio disir dipinto?m’era nel viso, e ’l dimandar con ello,?più caldo assai che per parlar distinto.
Fé sì Beatrice qual fé Dan?ello,?Nabuccodonosor levando d’ira,?che l’avea fatto ingiustamente fello;
e disse: ?Io veggio ben come ti tira?uno e altro disio, sì che tua cura?sé stessa lega sì che fuor non spira.
Tu argomenti: “Se ’l buon voler dura,?la v?olenza altrui per qual ragione?di meritar mi scema la misura?”.
Ancor di dubitar ti dà cagione?parer tornarsi l’anime a le stelle,?secondo la sentenza di Platone.
Queste son le question che nel tuo velle?pontano igualmente; e però pria?tratterò quella che più ha di felle.
D’i Serafin colui che più s’india,?Mo?sè, Samuel, e quel Giovanni?che prender vuoli, io dico, non Maria,
non hanno in altro cielo i loro scanni?che questi spirti che mo t’appariro,?né hanno a l’esser lor più o meno anni;
ma tutti fanno bello il primo giro,?e differentemente han dolce vita?per sentir più e men l’etterno spiro.
Qui si mostraro, non perché sortita?sia questa spera lor, ma per far segno?de la celest?al c’ha men salita.
Così parlar conviensi al vostro ingegno,?però che solo da sensato apprende?ciò che fa poscia d’intelletto degno.
Per questo la Scrittura condescende?a vostra facultate, e piedi e mano?attribuisce a Dio e altro intende;
e Santa Chiesa con aspetto umano?Gabr?el e Michel vi rappresenta,?e l’altro che Tobia rifece sano.
Quel che Timeo de l’anime argomenta?non è simile a ciò che qui si vede,?però che, come dice, par che senta.
Dice che l’alma a la sua stella riede,?credendo quella quindi esser decisa?quando natura per forma la diede;
e forse sua sentenza è d’altra guisa?che la voce non suona, ed esser puote?con intenzion da non esser derisa.
S’elli intende tornare a queste ruote?l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse?in alcun vero suo arco percuote.
Questo principio, male inteso, torse?già tutto il mondo quasi, sì che Giove,?Mercurio e Marte a nominar trascorse.
L’altra dubitazion che ti commove?ha men velen, però che sua malizia?non ti poria menar da me altrove.
Parere ingiusta la nostra giustizia?ne li occhi d’i mortali, è argomento?di fede e non d’eretica nequizia.
Ma perché puote vostro accorgimento?ben penetrare a questa veritate,?come disiri, ti farò contento.
Se v?olenza è quando quel che pate?n?ente conferisce a quel che sforza,?non fuor quest’ alme per essa scusate:
ché volontà, se non vuol, non s’ammorza,?ma fa come natura face in foco,?se mille volte v?olenza il torza.
Per che, s’ella si piega assai o poco,?segue la forza; e così queste fero?possendo rifuggir nel santo loco.
Se fosse stato lor volere intero,?come tenne Lorenzo in su la grada,?e fece Muzio a la sua man severo,
così l’avria ripinte per la strada?ond’ eran tratte, come fuoro sciolte;?ma così salda voglia è troppo rada.
E per queste
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