matrimoni i registri dello
stato civile. Esso ispira le canzoni popolari: vi si narrano le gentili
speranze della corrispondenza, il dolore per la indifferenza, l'affannoso
tormento della gelosia, le pene del disinganno e dell'abbandono; tutta la
profonda variabilità dell'amore prende forma in quella musica. Vi sono
canzoni per augurare la buona notte, canzoni per ridestare una cara e
pigra dormiente, canzoni per rimpiangere una giovinetta morta; spesso,
rinnovando le romanze degli antichi trovieri, vi è un dialogo fra l'uomo
e la donna, in cui volta a volta cede l'una o l'altro, ed il vincitore è
sempre l'amore. La medesima idea della morte, questa idea che fa
impallidire i più forti, nella canzone sembra dolcissima; ivi è detto
come bellissima cosa sia morire davanti la porta della donna amata, e
questa frase che riassume l'amore e morte di Leopardi, è accompagnata
da un motivo così lento e triste che vi mette nell'anima un desiderio
insolito di pace e di silenzio, un arcano struggimento dell'ultima ora.
* * *
Al popolo nessuno parla di patria e di libertà, nessuno gli dice che ha
dei diritti, nessuno gli suggerisce la parola eguaglianza; il popolo non
sa la storia e niuno cura d'insegnargliela, eppure il popolo si solleva,
combatte, cade, risorge, è glorioso: una canzone patriottica lo ha
infiammato, ne ha risvegliato il valore e sostenuto il coraggio. Nel 1860
vennero fuori mille canzoni di guerra, senza sapere chi ne avesse
gettata la prima nota; al loro suono sorgevano i soldati dalla terra, i
giovani ed i vecchi sentivano per le vene un fremito, i cervelli si
mettevano in tumulto, le mani correvano all'armi; e si moriva, si moriva
con la gioia negli occhi ed il canto sul labbro. Anche adesso, dopo tanti
anni, dopo che l'Italia è compiuta, dopo che tante febbrili illusioni sono
svanite, al risentire quei canti gli occhi si riaccendono ed il cuore si
solleva. Bonaparte il grande, prima d'inebbriare i suoi soldati con la
polvere ed il fuoco, li inebbriava con le canzoni popolari; è la canzone
popolare che, insieme alle teorie dei filosofi, crea la presa della
Bastiglia e la rivoluzione francese; essa è un'arme contro il tiranno,
contro il cattivo governante, un'arme che vale più del fischio, più
dell'urlo, più della pietra; perchè il fischio, l'urlo, la pietra significano
l'individuo e la canzone significa la massa, il numero e la forza.
* * *
Si è detto, ed anche da un ingegno illustre, che il popolo non è vero
poeta, massime il popolo napoletano. È così: l'elemento poetico delle
canzoni è scarso, a lampi, il senso spesso ne diviene
incomprensibile--talora sono frasi, parole accoppiate senz'ordine e
senza significato. Ma nell'elemento musicale è la grande rivincita,
nell'elemento musicale ricchissimo di melodia e di espressione; tutto
quello che la poesia non dice, la musica lo interpreta e lo rende,
schiudendovi un orizzonte largo, immenso, dove la fantasia può meglio
spaziare che nello stretto giro della parola. La cantilena del marinaio vi
giunge senza che possiate ascoltare quello che egli dice, eppure vi parla
del dolore della partenza, del lungo viaggio in paesi ignoti, dell'ansia
del ritorno; quando sulla barchetta al largo, si canta di Santa Lucia, voi
senza saperne nulla, indovinate, al sentirne solo il ritornello, tutta
quell'allegra vita sotto il sole caldo, nel profumo del mare, nelle notti
limpide e serene. Non ci è poesia ed intanto potete crearci un poema, un
poema tanto più bello in quanto che vi mettete una parte di voi, riunite
al sentimento della musica quello del vostro cuore e quasi tacitamente
ringraziate colui che pose delle frasi senza costrutto sopra una musica
divina, e vi lasciò la libertà di adattarvi tutte quelle che la vostra
immaginazione può plasmare. Forse il popolo non è poeta vero nel
pensiero, ma è tale nel sentimento--stroppia il concetto ed è
insuperabile nella musica. Vi è qualcuno che preferisce questa seconda
poesia alla prima.
* * *
La scienza è la misura del dolore--è una severa verità. Più si procede
nel regno del pensiero e più l'occhio della mente discopre abissi paurosi,
e l'anima sitibonda di pace vorrebbe ritornare all'antica ignoranza: in
alto vi sono dei fatali miraggi che attirano, affascinano e non si fanno
raggiungere mai, in alto il pensatore e l'artista soffrono. Ma in basso,
nell'ignoranza anche, si soffre: in alto vi è la povertà smagliante, in
basso la povertà nera. In basso vi è il pensiero del domani senza pane,
dei figli senza tetto, della vecchiaia che si approssima: tutto questo può
fermentare e diventare odio. Allora si maledirà al lavoro continuo senza
l'adeguata ricompensa, si maledirà all'ingiusta divisione dei beni della
terra e la cattiva idea del socialismo sotto la sua forma più rozza si farà
strada. Ma no, no; il popolo non può odiare, il popolo non può maledire,
perchè canta: la povera cucitrice
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