Col fuoco non si scherza | Page 9

Emilio De Marchi
titolo e nell'onorabilità del nome,
nessuno altro era mai stato introdotto tra le ombre oneste e tranquille di
quell'angolo invidiato. Ezio sapeva e voleva che gli altri avessero a
distinguere tra il compagnone allegro e il padrone di casa. I piaceri
della vita non l'ubbriacavano mai fino al punto di fargli perdere il
sentimento de' suoi doveri, e in questa specie di governo di se stesso era
la sua forza e la sua superiorità su tutti gli altri che gli facevano la corte.
Questo senso di orgoglio lo faceva parere molte volte duro e
aristocratico ai democraticoni della gazzarra, pei quali lo stravizio non
ha bisogno di guanti e nemmeno di brache: ma Ezio voleva essere
aristocratico, e sapeva di esserlo, magnificamente, quando era il caso.
Quarantamila lire di rendita ben amministrata gli potevan concedere
questo lusso.
Il canotto con una giratina magistrale imboccò l'arco oscuro della
darsena e andò ad arrestarsi ai piedi della scala che mena al giardino.
Ma il luogo era così buio che lo sbarcare non fu cosa facile. Ezio saltò a
terra per il primo, tirò il legno a riva, lo legò, a tastoni, colla catena,
bestemmiando contro quell'animale di Moschino che non era venuto
incontro colla lanterna. Accese un zolfanello per rompere l'oscurità e
alla fiamma che rischiarò l'antro vide il ragazzetto seduto sulla scala,

addormentato, colla lanterna morta tra le gambe.
--Aspetta, lazzarone!--brontolò, frenando con fatica la voglia di farlo
rotolare nell'acqua. E presa uno ciotola di legno, di quelle che servono a
vuotar le barche, la riempì fino all'orlo e versò tutta l'acqua sulla testa
di Moschino, che gettò un urlo di spavento. Il battesimo discese e
serpeggiò fresco fino in fondo alla schiena.
--È così che tieni il lume acceso, pigro animalaccio?--gridò il
padroncino, mentre il disgraziato si dibatteva nei panni bagnati.--Alza
il lampione, se non vuoi che con un calcio ti butti dentro.--Il ragazzo
che conosceva per prova le furie del signorino, si alzò grugnendo, levò
il lampioncino di vetro: ma l'acqua aveva così bagnato il lucignolo che
si dovette rinunziare a ogni tentativo di accenderlo.
Bisognò far di necessità virtù, arrabattarsi al buio e persuadere
Andreino a uscir dalla barca: ma nel frattempo Lolò s'era
beatissimamente addormentato nel fondo e giaceva come un sacco di
cenci. Abbruciandogli due o tre zolfanelli sotto il naso, Ezio potè
richiamarlo un poco ai sensi e persuaderlo a lasciarsi tirar fuori: ma il
contino che sentiva la zampa dell'aragosta grattargli l'ugola, cominciò a
piangere sulla sua sventura e a dichiarare d'essere il più vile
vermiciattolo che si nutra di fango e altre di quelle melanconiche
amarezze, da cui son presi i nobili spiriti che hanno un'aragosta e del
cattivo Sciampagna sullo stomaco.
Colle buone e colle brusche Ezio, che in queste tragedie non era alle
sue prime prove, potè finalmente schiodarlo dall'asse, impedì che il più
infelice degli uomini tuffasse le scarpette nell'acqua buia della darsena,
lo tirò sulla scala e a urti e a spintoni lo condusse per l'oscura galleria
alla luce del giardino. Era un peccato che don Andreino non fosse in
grado di ammirare la mite bellezza e l'incanto della luce lunare, che
stendevasi come un lenzuolo bianco sul piazzaletto ghiaioso e
gocciolava in vaghissime falde di neve nell'ombra dei viali senza
riuscire a dissiparne l'oscurità,
Tra una massa densa di cupe conifere e una parete di mimose, d'aloè, di
bambù, l'oscuro e tortuoso sentiero conduceva alla casa dove tutti,

fortunatamente, dormivano in quell'ora piccina, nella calma profonda in
cui il batter lento dell'onda pare anch'esso il respiro della notte
addormentata.
Don Andreino un po' sostenuto, un po' trascinato dalla mano robusta
dell'amico, non cessava di ripetere quel che aveva già detto le cento
volte, cioè, ch'egli era il più miserabile degli uomini, più vile del più
vile vermiciattolo che mangi il fango della terra: e ogni qual tratto
faceva il tentativo di fermarsi per dichiararsi indegno di riporre il piede
sotto il tetto ospitale del più generoso degli uomini. Alle parole
seguivano teneri abbracci, singhiozzi e vere lagrime di tenerezza, a cui
Ezio non sapeva opporre che frasi sorde come queste: Sta zitto, asino:
non svegliare quei di casa. Sì, vermicciattolo, taci che ora ti mettiamo a
letto.
Moschino corse in cucina a prendere un lume e per la scaletta di
servizio venne fatto a tutti e due di spingere il giovine ubbriaco fino a
una stanzina, che di solito serviva al guattero di casa. Lolò cadde sul
letto, su cui Ezio distese un coltrone e lo lasciò mormorando: Ora ne
hai fino a domani sera.
Moschino accompagnò il padroncino fin sulla soglia della stanza e
tornò a cercare il suo letto. Nello strapparsi di dosso i vestiti bagnati,
che mandavano un forte odore di pesce, mormorava:--E dicon porci a
noi!--Ma il sonno scese presto a dissipare ogni rancore. Anche Ezio
Continue reading on your phone by scaning this QR Code

 / 123
Tip: The current page has been bookmarked automatically. If you wish to continue reading later, just open the Dertz Homepage, and click on the 'continue reading' link at the bottom of the page.