Carta bollata | Page 8

Salvatore Farina
perchè sapere bisognoso d'una somma relativamente tenue, il faro della pittura lombarda, non gli aggiunge luce nè decoro; Giusto accomoderebbe forse il proprio negozio con l'altro parente macellaio, e non riuscendo nemmanco con lui piglierebbe la risoluzione di trasportare in Svizzera il Cenacolo incominciato e gli altri bozzetti, accomiatandosi con una bella lettera dall'agente delle imposte.
--Dunque si va a far visita al macellaio?
Giusto si propose il quesito parecchie volte in quella giornata memoranda, e lo lasciò sempre in sospeso per causa di Cristina bella, che lo chiamava a lei in silenzio.
All'ultimo rispose melanconicamente di sì, e si avviò al macello con l'aria d'una buona bestia segnata e rassegnata.
La casa dello zio Bortolo era fuori di porta; d'un piano solo ma bellina assai, tutta tinta di sangue sieroso, ma con le persiane di un rosso vivo, che pareva sangue arterioso; vi abitava la famiglia del macellaio soltanto e perciò, non vi essendo portinaio, per farsi aprire, bisognava toccare il bottone del campanello.
Giusto, dando un'occhiata alla finestra sanguigna, si sentì venire un po' di baldanza accettando questo presentimento bugiardo:
?Mi pare che dove meno me l'aspettava, troverò il fatto mio; qui dentro stanno di sicuro molte migliaia di lire inoperose; sta a vedere che una se ne viene alla chetichella nel mio portamonete.?
Mentre egli toccava coraggiosamente il bottone del campanello, un'altra voce, vera e sacrosanta, mormorava a canto a lui, strascicando le parole, tanto era dimessa: ?vedrai che Bortolo farà come gli altri, non ti darà un soldo.?
La porta di strada si aprì, e subito una voce gridò dall'alto:
--Chi è?
--Sono io, rispose il gran maestro, infilando le scale.
Al secondo pianerottolo una vecchia lo squadrò da capo a piedi, ripetendogli:
--Chi è?
--Sono io; il nipote di zio Bortolo; mio zio è in casa? come sta? riceve a quest'ora?
Il macellaio stava benone e non gli sarebbe sembrato vero di poter ricevere nel salotto, in fondo a un corridoio, dove la vecchia accompagnò il visitatore, ancor che fosse nipote del padrone, a contemplare un uscio chiuso. La chiave era nella toppa, ma non girava bene, e dopo inutili sforzi della fantesca si provò Giusto con miglior resultato.
La fantesca spalancò la finestra sanguinosa e alla luce Giusto ammirò il buon gusto di suo zio.
Quella sala era tutta lucente, e i mobili di noce di stile modernissimo, anzi senza stile, acquistati in Santa Marta, erano massicci; avendo una passione per il marmo che gli ricordava le belle memorie del macello, lo zio Bortolo, oltre averne messo in abbondanza sopra due mensole che si facevano riscontro guardandosi con l'occhio enorme di due specchi, aveva aggiunto in una parete un canterano; negli angoli della stanza due tavolini da notte tondi, pronti a ricevere vasi di qualunque genere o puttini di terra cotta... erano già forniti di marmo. Di quadri nemmeno l'ombra, e pareva a Giusto che nelle pareti starebbero benone almeno due paesaggi; già gli sembrava di averli fatti; uno di natura viva, riprodurrebbe i buoi condotti al macello; l'altro di natura morta, molta carne macellata. Il grande artista farebbe la tela in due settimane se Bortolo gli pagasse le mille miserabili lire.
Dopo molto aspettare, la mole enorme di Bortolo, piegandosi un tantino, passò la porta spalancata.
Anche egli, come il prete, domandò quale vento gli avesse portato a casa suo cugino.
Il faro della pittura lombarda si spiegò subito; non era stato un vento, ma bensì l'agente delle imposte, perchè egli, lui, per lui, per ciò... intendeva bene il macellaio?
Il macellaio intendeva benone; ma dalla sua mole uscirono subito certi lamenti tenui, frammezzati di piccioli gridi da far pietà a una belva. Oh! Dio, aver pensato a lui in una congiuntura simile, mentre chiunque, fuori che lui, avrebbe potuto far meglio. Ma, celeste misericordia! Bortolo, poveraccio, non macellava più, non sapeva più come fossero fatti i marenghini con cui una volta pagava i buoi; non era oggi il regno della carta straccia? e dunque? se Giusto gli volesse credere... Bortolo non aveva visto da un poco una moneta d'oro.
Il faro della pittura lombarda a questo punto era già un faro spento, ma volle mandare un ultimo guizzo dicendo allegramente a suo cugino che egli si sarebbe contentato di mille lire in carta, anche stracciata o rappezzata, pur che vi si leggesse chiaramente l'uso che doveva fare.
--Ma io, volle conchiudere Bortolo, cominciando a entrare in collera.
--Ma tu, interruppe Giusto, tu non me li puoi dare, non è così?
Era proprio così.
--Allora ti saluto.
--Te ne vai? Mi dispiace tanto, ma io non posso far nulla; non è una settimana che ho dovuto pagare un debito di quattrocento lire che mio figlio, quello scapestrato di mio figlio Gerolamo, mi ha fatto a Pavia. Io non avrei pagato, te lo giuro, perchè un mese prima l'altro mio figlio, Giuseppe, quello che mi minaccia da dieci anni di non pigliar la laurea di ingegnere, mi aveva salassato di
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