Carta bollata | Page 7

Salvatore Farina
vive.
--Grazie, ma non è questo; io vengo da te unicamente perchè ho bisogno di due cose...
Pensò un momentino se gli convenisse prima parlare dell'agente delle imposte, e riconobbe che era meglio parlarne dopo. E allora?...
--La prima è tua figlia.
--Cristina! come entra mia figlia nel caso tuo?
--Sì, proprio Cristina: sono venuto a chiedertela in moglie...
--Per te?...
--Ma... mi pare.
--Ma tu non sai che Cristina ha diciasette anni soltanto, e tu, se i miei conti tornano, ne hai almeno trentatre....
--Sonati... è disgraziatamente vero; ma io mi sento giovanissimo ancora...
--Sentirsi è una cosa, essere è un'altra; come la pittura d'una cosa non è mai la cosa medesima... Mi spiego? Se non mi faccio intendere abbastanza, mi spiegherò meglio: per mia figlia ho altre vedute. E non ne parliamo altro; se mi vuoi dire l'altra cosa... ahi!
Giusto stette un po' a pensare e lì per lì non rispose.
--Me la vuoi dire? insistè l'usciere.
--Ci penso... Non te la voglio dire, tanto non ci guadagnerei nulla.
L'usciere non era punto curioso e lo disse:
--Pazienza! io non sono curioso.
--Ti saluto, conchiuse Giusto, rizzandosi da sedere; guarisci, cura il tuo piloro, torna presto al tribunale e stammi allegro.
--Senti ancora; che premura hai? senti.... Cristina non sa nulla?
--Non sa nulla ancora.
--Ti conviene che non sappia mai; io non le dirò niente, te lo prometto.
--Grazie.
L'usciere dal suo letto chiamò forte ?Cristina!? perchè accompagnasse il faro della pittura lombarda fino all'uscio, e Giusto disse a se stesso:
--Essa invece saprà subito e saprà tutto.
E appena apparsa la faccetta soave della cugina, egli le disse:
--Sai? me ne vado; la cosa che domandavo a tuo padre, mi è riuscita male...
--Me ne spiace tanto...
--Ah! se fossi sicuro che ti spiacesse tanto, quasi mi consolerei un poco.
Cristina aprì gli occhioni belli a guardare il suo parente, non intendendo ancora.
--Si può sapere che cosa gli hai domandato? domandò ingenuamente.
--La vuoi proprio sapere?
Cristina non rispose nulla, perchè l'occhio nero del faro della pittura lombarda le andava dicendo tante cose.
--Te la dirò all'orecchio.
Ma tacque un poco, aspettando il pentimento.
Cristina non respirava più.
--Dimmela, balbettò con un fil di voce.
--Gli ho chiesto... te... in isposa... ed egli mi ha risposto: no.
--Cattivo babbo! scappò detto alla creatura ingenua; e diè in un pianto dirotto.
Giusto, a cui da poco in qua sembrava di sognare, a questo punto del suo sogno si svegliò in paradiso.
--Cristina! gridò forte l'usciere dall'altra camera; Cristina!
Nessuno gli rispose.
--Senti, bambina mia, tu ora mi fai felice, ma asciuga le tue lagrime; se vuoi proprio, se mi saprai aspettare, io ti farò mia; vuoi?
--Sì, voglio.
--Allora dammi un bacio; e speriamo insieme.
Cristina diede il bacio senza titubanza.
--Cristina! chiamava Ippolito dal suo letto; dove si è cacciata quella ragazza?... Cristina!
--Trovo la mia strada da me, rispose Giusto a voce alta.
Si pigliò in silenzio un altro bacio dalla bocca soave, un altro bacio pose sulla fronte della sua fanciulla, e se ne andò fidanzato.
Ma non aveva trovato nulla per l'agente delle imposte.

III.
Tutto il rimanente di quel giorno Giusto non fece altro se non pensare alla sua fidanzata, ed ebbe solo un po' di requie quando con poche pennellate di biacca, di cinabro e di cromo si fu messo dinanzi la faccia gentilina e i capelli d'oro che gli trottavano nella fantasia. Ogni giorno avrebbe aggiunto qualche cosuccia alla tela, pur che ogni giorno trovasse modo di vedere Cristina, in casa, o alla finestra, o alla passeggiata. Uscirono da quel cervellaccio di grande artista tutte le melanconie della tassa di ricchezza mobile, dimenticò perfino l'esistenza d'un agente delle imposte e gli parve di vivere in una Italia nuova, fatta allora allora per lui e per Cristina, in un'Italia dove si fosse perduta la mala semente dell'esattore e non si conoscesse nemmeno la necessità di rifare il Cenacolo quattro volte l'anno per campare la vita.
Camminando per le vie, a testa alta, con gli occhi fissi in Cristina sua, respirando Cristina sua nell'aria di quel mattino di maggio, il faro della pittura lombarda si dimenticò perfino di essere un faro, di aver trentasei anni sonati bene bene, per ridiventare un fanciullone.
Pensava: ?Di che mai espedienti si serve il cielo misericordioso (perchè ora tornava a credere nel cielo e nella sua misericordia) per avvicinare due cuori che si vogliono amare! Chi potrebbe far credere all'agente delle imposte che egli, minacciando una tassa che forse non riscoterà mai, mi abbia riunito a Cristina mia per tutta la vita?
?Per tutta la vita? Sì, per tutta. Ormai Cristina è legata a me; nessun tribunale, con nissun atto di usciere potrebbe mai impedire a due cuori di amarsi tanto. Il cugino Ippolito, dopo avermi detto no alla prima, mi dirà sì alla seconda; e a me, fra quindici giorni, non mancherà il coraggio di andarlo a trovare in tribunale, e magari al suo letto se avrà fatto un'altra indigestione.?
Fortunatamente, della seconda causa che lo aveva spinto in casa dell'ufficiale giudiziario, egli non aveva fiatato,
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