Amore bendato | Page 4

Salvatore Farina
il senno, la maturità di consiglio, la ponderatezza,
tutte quelle buone cose che doveva mettere all'atto di lasciarmi legare

da un articolo del codice. Ma egli allora mi piaceva, ed io gli piacevo.
Così almeno ha detto lui.
Vorrei un po' sapere perchè ora non gli piaccio più!
Perdona se ti ho trattenuto un pezzo colle mie chiacchiere; spero di non
averti annoiato, perchè non mi hai interrotto; ma d'altra parte tu sei così
buono che non ne sono sicura.... Buona notte, cioè buon giorno. È
l'alba.

II.
In cui il signore si confida col suo medico.
Era l'alba. Era quel breve momento del giorno, in cui il sonno e la vita,
il silenzio ed il suono, la tenebra e la luce sembrano stare insieme,
tollerandosi a vicenda, mutando l'antitesi in un'armonia sfumata e
fuggevole.
Penetrava dal vano della finestra un filo di luce pallida, accompagnato
dall'alito fresco del mattino; fendevano l'aria le prime note d'un
grandioso concerto che fra breve doveva prorompere in tutta la sua
sonorità sul vecchio ippocastano del giardino; qualche piccolo
concertista impaziente provava a gola spiegata i gorgheggi più difficili.
E non ostante quei voli, quello sbatter d'ali intorpidite, quei canti e quel
sommesso bisbiglio delle frondi, persisteva nell'aria qualche cosa del
silenzio notturno.
Ernesta si provò un istante ad accompagnare dalla finestra il suo buon
amico (uno spirito famigliare molto docile e molto taciturno), ma per
mancanza di direzione certa, abbandonò quasi subito le vie delle nuvole
e tornò coll'occhio e col pensiero in terra, al giardinetto,
all'ippocastano.
Quel giardino era tutto un mondo agli ocelli suoi, un mondo popolato
di creature innocue ed allegre, su cui non posava mai ala di nibbio;
l'ippocastano era un conservatorio che dava le più belle vocette ed i

migliori cantori dell'universo; lo dirigeva un usignuolo; uno stornello
faceva con molta buona volontà le veci del direttore.
Ernesta rimaneva immobile ad ascoltare una bella sinfonia descrittiva,
dimentica per poco delle sue sciagure. Quel mattino di maggio aveva
cento mani leggiere e fresche per accarezzarla sulla fronte, sulle
guancie, sugli occhi stanchi dalla veglia; i passeri le davano il buon
giorno in coro, e le rondini inquiete le passavano rasente fino quasi a
toccarla colle ali, mandando un grido di saluto, in cui entrava un po' di
paura. La giovine donna aveva quell'acutezza di senso delle nature
fantastiche e nervose; a lei le conversazioni dei passeri parevano
sempre piene di attrattiva, era persuasa che le rondini nel passare le
dicessero addio, e rispondeva addio a fior di labbro per non far battere
troppo forte quei cuoricini sbigottiti dalla propria audacia; poi spingeva
il capo fuor del davanzale e volgeva gli occhi in alto, dove un'altra
rondine si teneva appesa al nido sotto la gronda e la guardava
curiosamente.
A poco a poco si unirono nuove voci al concerto, e la sinfonia giunse
alla massima sonorità. Ernesta non sapeva staccarsi dal davanzale; la
veglia protratta le aveva acuito i sensi più ancora; udiva, o le pareva
d'udire, parole nuove, accenti ignorati, e quando lo stornello,
appollaiato sull'ultimo ramo dell'ippocastano, incominciò un canto che
si staccava su tutte le voci, le parve che a lei sola si rivolgesse e che
avesse a dirle qualche cosa importante. Spinse un seggiolone nel vano
della finestra e stette ad ascoltare un pezzo, ad occhi chiusi, facendo ad
ogni tanto di sì col capo. Finalmente fece di sì un'ultima volta, curvò la
testa sul petto e stette immobile....
Nel risvegliarsi, Ernesta fu molto stupita di vedersi quasi all'oscuro,
sopra una poltroncina, nel vano della finestra, di cui erano state chiuse
le imposte; balzò in piedi si stropicciò gli occhi, aprì le vetrate e
ricevette sulle guancie il caldo bacio del sole di mezzodì.
Pensò: «Qualcuno è venuto, mentre io dormiva, chi mai? Leonardo;
Olimpia non entra se non la chiamo.»
Stette un pezzo immobile a fantasticare su questo nonnulla.

--Egli è tornato a casa all'alba, secondo il solito, ha visto il lume acceso
attraverso la toppa, ha avuto paura si appiccasse fuoco alle cortine del
mio letto, ed è entrato pian piano per non svegliarmi, mi ha vista
addormentata sul seggiolone, si è accostato, ha chiuso adagino la
finestra già invasa dal sole, mi ha guardato per vedere se mi svegliassi e
se ne è andato sulla punta dei piedi portando via il lume acceso....--
E nel dire a sè stessa queste cose, essa se lo vedeva innanzi il suo
Leonardo, nè ora nè mai suo, e gli pareva curiosissimo in quegli atti, e
pensava: --Qual gioia se fosse un altro, amante e riamato, per poter
correre in camera di lui e svegliarlo con un bacio e dirgli: «Cattivo, è
così che dovevi fare!»
Ma si corresse e disse che un altro, come lo voleva lei, non sarebbe
tornato a casa a quell'ora. Ci pensò ancora, prima
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