Amedeide | Page 9

Gabriello Chiabrera
m'impon,
dispiegherò le vele;
Pronto a morir, con mille rischi intorno
A'
cenni suoi combatterò fedele.
Sì da l'antro deserto, ove ei si serra,

Volgesi a Dio con le ginocchia in terra.
XXIV
Nè così tosto a l'immortal sentiero
Mosse la fulgida Alba il piè
celeste,
Ch'ei nel fondo del cor sveglia il pensiero,
Come se stesso a
la partenza appreste.
Su l'erma piaggia non pervien nocchiero;
Or
come troncherà l'aspre foreste?
Onde bipenne avrà? con quali ingegni

A far naviglio tesserà quei legni?
XXV
In tanto affanno ver la terra inchine
Ferma le ciglia; e giù nel sen non
posa
Il cor, che vuol, nè può partirsi; alfine
Ne ritrova la via l'alma
animosa;
Vassene a l'aspre rupi indi vicine
Là, 've le navi sue l'onda
spumosa
Con lungo assalto tempestando aperse,
E sovra i liti le
lasciò disperse.
XXVI
Ivi le travi, che fur scherzo a l'ira
De l'Oceàno, col pensier misura

Intentamente; e benchè rotto, ei mira
Che quasi in stato un battelletto

dura;
Ponvi la mano, e su l'asciutto il tira;
Poscia fornirlo, e risaldar
procura
Con gli arnesi sdrusciti, e con le sarte,
Che de la vinta
armata il mare ha sparte.
XXVII
Ed al fin punta in su la ripa il piede,
E 'n varando il naviglio ei su
v'ascende;
E poi da terra allontanato il vede,
Picciola vela agli
aquilon distende.
Ma su la poppa non veduto siede
L'Angelo seco,
ed al governo attende
Con occhio intento, e per la fragil nave
Spira
su lucida onda aura soave.
XXVIII
Nè con sembiante neghittoso e lento
I gran soccorsi rimirava Aletto,

Mostro infernal, cui sol pena e tormento
Di Rodi afflitta empiea di
gaudio il petto:
Volse il pensier per mille parti intento
A sviarne il
campion dal Cielo eletto,
E quando ella il dispera, aspra s'ingegna

Di far Rodi espugnar prima ch'ei vegna.
XXIX
Teme del campo a Rodi avverso, teme
Del Tartareo tiranno aspri
destini;
Nè può mirar da le miserie estreme
A sua salute i Rodïan
vicini.
Arsa tra queste furie ulula, e freme
Livida i guardi,
invenenata i crini;
Nè punto cessa intra furori immensi,
Che su lo
strazio de Cristian non pensi.
XXX
Quinci un momento sol non spende in vano;
Ma di Bostange ella
vestì sembianza,
E volò trasformata ad Ottomano
Là sotto Rodi in
ammirabil stanza:
Ponsi ivi al petto l'una e l'altra mano,
E reverente
a la real possanza
La fronte inchina, e le ginocchia piega,
E con tal
voce i suoi pensier dispiega:

XXXI
Perchè dal ferro, e dal travaglio oppressi
Alcuna requie i tuoi guerrier
ristori,
Già molti dì dal guerreggiar tu cessi,
E del tuo fiero cor
tempri gli ardori;
Rompi i riposi al campo tuo concessi,
E con l'armi
risveglia i tuoi furori,
Risvegliali, Ottomano; ecco a gran corso
Sen
viene inverso Rodi alto soccorso.
XXXII
A piè de' monti, e fra quelle alpi estreme,
Onde il Francese inver
l'Italia scende,
Regna AMEDEO, che di virtù supreme
Quasi un
fulgido Sol quivi risplende;
Forte così, ch'ogni nemico il teme,
O se
spada impugnando egli contende
Fuor di dorato arcione, o se con asta

Su corridor spumante altrui contrasta.
XXXIII
Deggio forse narrar come possente
Domò l'orgoglio de' vicin nemici,

O ne i regni lontan come non lente
Spiegò l'insegne a sollevar gli
amici?
Che più narrar degg'io? l'inclita gente
Sempre in guerra ha
vibrato arme felici;
E questi ad emular forte s'accese
Di tanti avi
magnanimi l'imprese.
XXXIV
Scoterà forte il tuo sì saldo impero,
Farassi appoggio a queste debil
mura:
Sorgi, sorgi, Ottoman; tanto guerriero
Precorri armato, e
trïonfar procura.
Sì disse il mostro, e dileguò leggiero,
Come rapido
augel per l'aria pura,
E sparsi i nembi, onde egli apparve adorno,
Ivi
stridendo se ne va dintorno.
XXXV
Grida Ottomano; e che farà quel forte?
Alzi l'antenne, e quanto può
s'affretti;
Vengane omai; dure catene, e morte
Per suo trionfo, il

forsennato aspetti.
Rodi sottrar da miserabil sorte?
Ardir cotanto de'
Cristian ne' petti?
Perchè non paventar, ch'Europa cada
Sotto il
giusto furor di questa spada?
XXXVI
Ma pur da gli atti a reputar costretto
Ch'oltramondano il messaggier si
manda,
Benchè rigonfio d'alterezza il petto,
I gran duci del campo a
se dimanda.
A pena han de gli araldi inteso il detto,
Che corrono ad
udir ciò, ch'ei comanda,
E stan dimessi ad ascoltar sue voci;
Ed ei sì
le formava aspre, e feroci:
XXXVII
Rodi soccorso avrà; sì per pietate
Odo, ch'a' Re cristian vien che ne
caglia;
Ma pria giungano quì lor navi armate
Certo ella ha da cader
per mia battaglia;
Oggi le turbe io vo' veder schierate;
Come risorga
il Sol vo' che s'assaglia;
Non sia per gioco mia parola udita;
Chi non
avrà valor, non avrà vita.
XXXVIII
Quì fine ei pose a gli orgogliosi accenti;
E quei dimora ivi non fanno
alcuna;
Ma ver l'insegne le disperse genti
De' tamburi animosi il
suon raguna.
In tanto sul gran pian mille Sergenti
Spiegano tenda di
real fortuna,
Di donde rimirar l'alto tiranno
Debba le turbe, che
schierate andranno.
XXXIX
Parte di gemme la distinse, parte
D'oro e di seta, inimitabil mano,

Ammirabile sì, ch'ivi con l'arte
Giostrar vedeasi ogni ricchezza in
vano;
Di bianche perle intra zaffiri sparto
Ondeggia un
tranquillissimo oceàno,
Che i lidi implica; e di tessuto vento
Il
fanno tremolar soffi d'argento.

XL
Vedeasi, alto diletto a l'altrui ciglio,
Argo solcarvi; ed il drappello
Acheo
Travaglia i remi nel mortal periglio
Per entro i golfi de
l'ignoto Egeo:
Canta su cetra, e di virtù consiglio
A ciascun porge
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