porrò un fatto che parrà
novella, e non è; vo' dire che il Poeta si teneva per affatturato da
qualche maliarda o stregone, cosicchè stimavasi non atto al debito
coniugale; e ne scrisse lunga e mesta lettera a Bernardo Castello pittore,
suo grande amico, scongiurandolo a veder pure di trovare in Genova
cerretano o donnicciuola, che valesse a rompere la malìa. Qual fosse la
risposta del Castello, nol sappiamo. Nè di cotal immaginazione del
Poeta è da far commedia; chè fin nel secolo XVIII. molti libri si
scrissero da gravi uomini, e non idioti, a mostrare la potenza e le arti
meravigliose delle streghe[2]. Finalmente piacque al CHIABRERA
d'unirsi con una giovinetta d'anni 16, nominata Lelia, figliuola di Giulio
Pavese gentiluomo di Savona, e della signora Marzia di Niccolò
Spinola patrizio genovese. Ed ottenuta la dispensa dall'impedimento di
consanguinità, si celebrò il matrimonio nella chiesa de' PP. Cappuccini
fuor di Savona il dì 29 luglio del 1602. GABRIELLO non n'ebbe. prole,
ma gliene vennero disturbi ed impicci nojosi. Perciocchè Lelia, essendo
mancato di vita
Giangiacomo Pavese fratello di lei, lasciando pupillo
un figlio di nome Giulio, ne assunse col marito la tutela: di qui molestie
di conti; pensieri d'educazione; possesso di eredità e nella Liguria, e per
procuratore in Napoli, dove i Pavesi possedevano beni assai; di qui
tutte quelle altre noje che sono compagne degli affari
economici. Ma
Lelia, veggendosi senza prole, aveva posto in Giulio un affetto
sviscerato; e se GABRIELLO non era sollecito a tutto, che potesse
giovare al nipote, gridava ch'egli era un assassinare il pupillo. Questa
tutela tornò poscia in danno de' Chiabrera; stantechè avendo
GABRIELLO donato ogni suo avere alla moglie, Giulio venne ad unire
in se l'eredità de' Chiabrera e de' Pavesi. Abbiamo una lettera del Poeta,
scritta nel 1634, ringraziando il Cavaliere Cassiano dal Pozzo «per le
cortesie compartite a Giulio Pavese mio nipote.»
Il piacere delle nozze fu turbato per una sentenza de' tribunali di Roma,
che GABRIELLO accenna oscuramente; e che noi possiamo con
maggior chiarezza descrivere. Il Poeta aveva un fratello naturale di
nome Augusto, che stavasi in Roma, e maneggiava la dote di Lelia, con
procura in forma legale: ora costui per avere scritto delle pasquinate, o
come allora dicevano, de' _pasquini_, fu
condannato, non sappiamo a
qual pena, e i beni dati al fisco; compresavi la dote di Lelia. Per che
GABRIELLO corse a Roma, e con mostrare le sue ragioni, e col favore
del Cardinale Cinzio
Aldobrandini, protettore de' letterati, ricoverò
con fatiche e spese la dote della moglie. Augusto aveva potuto
scampare la tempesta fuggendo nell'Abruzzo; e di colà scrisse a
GABRIELLO nel 1607 chiedendo danari; ed è questa l'unica notizia
che ho trovato di costui; e poco monta il saperne più oltre; ch'egli non
recò a' suoi utilità nè decoro.
Dopo lo sconcio qui rammentato non ebbevi fatto alcuno nella vita del
CHIABRERA, come uomo privato, che meriti d'avere speciale ricordo:
visse in patria con riposo, sano in modo che non mai stette in letto,
salvo due volte per due febbri terzanelle, nè ciascuna di loro passò sette
parosismi. In questo egli fu assai avventuroso: ma non già nell'avere
(sono parole di lui), perchè nato ricco, anzi che no, disperdendosi la
roba per molte disavventure, egli visse, non già bisognoso, ma nè
tampoco abbondantissimo. Certo è che s'egli non fu ricco signore, ebbe
quanto s'addice a vivere onorevolmente da gentiluomo di provincia. In
città s'era comperata, metà dai Ferrero, e metà dai Carretto, una casa
(1603-1605), ornata di marmi; ed è quella che si vede nel vicolo di S.
Andrea, ed ha sopra la porta in un cartello di marmo queste parole
d'Orazio: _nichil est ab omni parte beatum_; forse per accennare
all'umile contrada in cui era
fabbricata. Di un suo giardino parla più
volte nelle lettere a Bernardo Castello. E rifabbricandosi nel 1616 la
piccola chiesa di S. Lucia, e rimanendovi un poco di scoglio scoperto,
il CHIABRERA, ottenutolo, lo ricinse di muraglie, e fecevi un piccolo
giardino, e una loggetta, nella quale fra il giorno si riduceva a far versi,
e a cianciare con cittadini ed uomini di villa, che di colà per loro
faccende passano continuo; godendovi pure l'aspetto di Genova, che vi
si mostra manifestissimo. E perciocchè era vicina alla chiesa di S.
Lucia, martire siracusana, della quale si professava devotissimo per la
debolezza della sua vista, cosicchè non poteva scrivere al lume,
chiamavala _piccola Siracusa_; come puossi vedere nella data di molte
lettere al Giustiniani. Negli ultimi anni (1632) edificò una casa di
campagna in Legine, dove possedeva una vigna assai vasta; e nella
iscrizione, che tuttora vi si legge sulla porta, dichiara averla fabbricata
_musarum opibus_; cioè con denari ritratti dalle sue poesie[3].
Perciocchè il CHIABRERA che aveva cominciato a poetare per ozio, e
poscia per onore, volle alfine che i suoi versi gli fruttassero meglio
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