Alessandro Manzoni | Page 2

Alessandro De Gubernatis
crescendo per
numero e benevolenza. Dovendo ogni lettura restringersi al breve giro
di un'ora, dovetti pure, per non abusare della pazienta de' miei cortesi
uditori, sopprimere parecchie parti del Discorso che io avea preparato
per la importante & splendida occasione, e che un'ora non avrebbe
bastato a svolgere. Desidero ora dunque ricolmare nella stampa le
inevitabili lacune di que' discorsi, lieto d'offrire, per intiero, ai dotti e
gentili Curatori dell'Istituto Oxoniano e a' miei proprii concittadini il
frutto di que' pochi studii da me fatti sopra lo scrittore italiano, che ho
più ammirato nell'età nostra e dal nome del quale tolse pure il proprio il
carissimo fanciullo nel quale io ho riposto le mie migliori speranze. Mi
sia ora indulgente la critica, com'io sono sicuro che furono onesti tutti
gl'intendimenti che mi hanno mosso a scrivere; e chi ha poi qualche
cosa di meglio e di più da dire intorno al Manzoni lo dica, che non
troverà, per un tèma così simpatico, alcun lettore più attento di me e più
desideroso d'imparare. Io non sono, e lo dichiaro subito, idolatra
d'alcun nome; ma è pure tanto in me il sentimento della grandezza
dell'uomo che ha chiuso in Italia tutto un secolo di storia letteraria, che
spero di non essere accusato per falsa modestia, s'io confesso
ingenuamente che il tèma altissimo mi sgomenta, e ch'io lo riconosco,
pur troppo, superiore ad ogni mia virtù. S'io dovessi qui solamente
discorrere degli scritti di Alessandro Manzoni, mi farei animo a
ragionarne, reso forte ed illuminato dal consenso ammirativo
dell'universo che legge; ma quando un uomo s'inalza alla grandezza del
Manzoni, quando, dopo avere contemplato questo mirabile gigante
dell'arte nostra, è necessità persuadersi che la sua originalità è
specialmente riposta nel suo modo particolare di sentire, e questo modo
di sentire non si può bene comprendere e non si ha quindi il diritto di

giudicarlo, se non fa germogliare insieme il proponimento virtuoso di
conformare la propria vita a que' sentimenti medesimi, io mi domando
con piena sincerità: "Sono io degno di parlare di Alessandro Manzoni?"
Io non voglio inalzarmi qui come critico sopra di esso; voglio anch'io
guardare in su, e con tanto maggior obbligo di Giuseppe Giusti che
pure avrebbe avuto per la qualità dell'ingegno il diritto di guardare il
Manzoni in faccia; ma le parole verrebbero a morirmi sopra le labbra,
se io non sapessi ammirare il Manzoni altrimenti che come un altro
uomo che sia stato più grande di noi tutti, per sè stesso soltanto, e non
ancora per lasciarci alcun memorabile esempio. Ora io che ho sempre
desiderato richiamare molta gioventù della mia terra a ristudiarlo con
me, io che lo propongo sicuramente ad esempio[1] non lo potrei, non
dovrei poterlo fare, se prima non avessi fatto promessa a me medesimo
di seguire docilmente i principii di quella filosofia letteraria che
ammiro sovra ogni altra. E, pur troppo, per quanto sia grande in me il
desiderio, sento povere le forze ed insufficienti all'uopo; e ripeto, pieno
di confusione e di sincerità, il _domine, non sum dignus_. Ma io
prevedo, pur troppo, a questo punto il moto impaziente di alcuni lettori,
i quali prima di proseguire avranno già sentenziato presso a poco così:
"Abbiamo capito, l'Autore ci promette un panegirico, invece d'uno
studio critico; invece d'un Manzoni diminuito e fatto minutamente,
come ora si deve, in pezzi, avremo un Manzoni altissimo, iperbolico,
messo sugli altari ed idealeggiato, per edificazione de' buoni." Chi ha di
tali impazienze non legga più oltre. Io voglio sì, io spero provare come
il Manzoni fu grande, com'egli è stato, e sarà forse ancora per molto
tempo, il massimo de' nostri scrittori; ma chi teme una tale
dimostrazione, chi non la permette, chiuda il libro; che, in verità, io non
lo scrivo con la speranza di convertire alcun profano, ma nel desiderio,
il quale può ingannarmi, ma è onesto, di delineare il Manzoni quale mi
apparve, dopo averlo ricercato attentamente ne' suoi scritti e nelle
memorie del nostro tempo; e, poichè ne verrà fuori, come io spero, non
solo la figura di un grande scrittore, ma ancora quella di un grand'uomo,
sì mi tenta anche la speranza che alcuno già ben disposto,
innamorandosi più forte della sua figura, si giovi dell'esempio che sotto
di essa si cela, come tento io stesso di cavarne come posso alcun
profitto non solo per l'arte dello scrivere, ma per quella assai più
difficile del vivere. Da queste stesse parole si deve, parmi, capire che io

non mi propongo di scrivere la vita d'un Santo; se il Manzoni fosse
stato un uomo perfetto in ogni cosa, non ci rimarrebbe altro che
adorarlo. Ma poich'egli era mortale come noi e soggetto ad errare ed
alcuna volta può avere anch'esso umanamente errato, sarà utile a noi
l'apprendere in qual modo egli vincesse le sue battaglie
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