Abrakadabra | Page 3

Antonio Ghislanzoni

onnipotente. Già da secoli le ossa di quel misero Laocoonte che è il popolo, stridono
nell'improbo amplesso di pochi rettili coronati--il Briareo dalle cento braccia si lascia
stritolare senza gemiti, come un gramo fanciullo nelle fascie.
«Riscuotiti, o gigante! Strappa a' tuoi carnefici quelle squame dorate che finora ti
abbagliarono la vista. Schiaccia sotto il forte tallone le teste dell'idra.--Sperdi nel fango le
bave velenose!... Guai se una sola testa uscirà intatta dall'eccidio! Ella andrà a rintanarsi
fino a quando non abbia ricuperate le sue spire e il suo veleno. Al primo intiepidirsi della
stagione, spiccherà un salto per morderti alla carotide e succhiare il tuo sangue.
«Che abbiamo fatto noi? che facciamo, colla nostra rivoluzione tanto vantata e tanto
infruttuosa?... Abbiamo atterrito il dispotismo col tuono di una cannonata--abbiamo
lanciato una bomba di carta in mezzo a questo intrigo di rettili. Ma i rettili si ritrassero
nelle loro tane sibilando minaccia, e aspettando gli eventi.
«Poi misero fuori la cresta, e si sparsero fra il popolo coll'aria mansueta del primo
serpente. E noi li vediamo, li incontriamo nelle nostre vie--li accogliamo nelle nostre
case--li riscaldiamo nel nostro grembo--e istupiditi dall'oppio, non sentiamo le nuove
trafitture. Oh la bella, la grande rivoluzione!
«Metà dell'Italia è schiava degli stranieri. I moderati ci promettono il compimento
dell'opera, predicando la rassegnazione e la pazienza.--Noi ci prepariamo!--gridano
essi.--O che? Forse i tedeschi, i clericali, i nemici nostri non profittano anch'essi della
tregua per prepararsi alla lor volta?...
«Aspettiamo! diamo tempo alla reazione di completare la sua trama! Così, il giorno in cui
i soldati d'Italia dovranno schierarsi sul Mincio per attaccare i tedeschi, ovvero spingersi
a Roma alla conquista di una capitale, nel volgere il capo dietro i loro passi, vedranno
sventolare sulle aguglie delle nostre cattedrali i colori abborriti!
«Stolti! avete perdonato ai despoti quando essi giacevano nel fango ai vostri piedi! Liberi
per un quarto d'ora, tremaste della libertà conquistata più che delle vinte tirannidi.
Adulaste gli oppressori caduti, confermando nei vostri Parlamenti le leggi
dell'oppressione. Temeste di mostrarvi troppo liberali, e vi lusingaste, col rispetto di un
abbominevole passato, conciliarvi le simpatie di chi non potrà in nessun modo allearsi
con voi.
«Perseguitaste gli uomini della luce, per allearvi, inconsapevoli o colpevoli, agli uomini
delle tenebre. Impotenti o malvagi, ritiratevi! Il popolo non è con voi, non può essere con
voi.

«Guai, se svegliandosi da quel sonno artifiziale che è il prodotto dei vostri narcotici, il
popolo si accorgerà di esser tradito! Allora il vostro sangue correrà nelle vie a torrenti;
allora tutti gli alberi e tutti i metalli si convertiranno in ghigliottine, in istrumenti di morte,
pel vostro completo esterminio.
«I Robespierre, i Danton, i Marat sorgeranno a migliaia dalle officine pensanti. E questa
volta non sarà l'ottantanove della Francia, ma quello di tutta l'Europa liberale, coalizzata
contro i tiranni. Voi vi troverete accerchiati da un milione di baionette, minacciati da un
milione di mannaie--e la libertà, come aurora boreale, splenderà sull'universo
imporporata di sangue...
«E badate, che i vostri giorni sono contati; che la pazienza è prossima a mutarsi in
furore... In quel giorno, i clericali e i moderati, gli uomini delle tenebre e gli uomini del
crepuscolo, saranno travolti dal medesimo turbine. Coloro che si oppongono al progresso
come quelli che pretendono moderarlo, rimarranno stritolati sotto le sue ruote
prepotenti».
Il terribile oratore pose fine alla sua arringa per essiccamento di fauci, e sedette nel cupo
silenzio de' suoi ascoltatori.
La fronte del signore annunciava un intimo turbamento, sebbene più volte egli avesse
dato segno di adesione con un leggero movimento del capo.
Il curato, durante il discorso dell'implacabile demagogo, non aveva cessato di
interromperlo con delle esclamazioni che parevano giaculatorie. Poichè il farmacista ebbe
finito di parlare, il buon prete giunse le mani in atto di orrore, ed ai paesani, che
ascoltavano dalla finestra, fece un gesto come dicesse: non vi scandalizzate di tante
bestemmie!
Il Sindaco aveva ascoltato con moderazione, meditando un'eloquente risposta.

CAPITOLO III.
Il discorso del Sindaco.
--L'ottantanove!... sempre l'ottantanove!--cominciò il sindaco levandosi in piedi dopo
aver vuotato il bicchiere.--Robespierre! Danton! Marat!... Ecco il vostro ritornello, la
vostra eterna minaccia, o infelici rimestatori di un passato che non può rinnovarsi.
«Tutto il progresso della civiltà europea, le poche franchigie, le poche libertà acquisite
dal popolo da quell'epoca di sangue infino ad oggi, sono, a vostro dire, il frutto della
rivoluzione. E sta bene, se col nome di rivoluzione voi intendiate designare il genio
innovatore, la ribellione intellettuale del gran secolo che ci ha preceduti, Buffon,
Beaumarchais, Voltaire, Diderot, Rousseau, D'Alembert, Volney, tutti i grandi pensatori
di un'epoca luminosa--ecco la vera rivoluzione, la rivoluzione irresistibile, indomabile,
soverchiatrice di ogni ostacolo.

«Chi ha ritardata l'opera della filosofia? quali furono i nemici più esiziali
dell'idea?--quelli che allora rappresentavano il partito di azione, i demagoghi, i tiranni dal
berretto
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