Vecchie cadenze e nuove | Page 4

Emilio de Marchi
sua
tela povera e mortale.
Chè nel tessuto (e questo anche conoscere
i consigli mi diedero
materni)
può ricamare ognun d'eterne istorie
con operosa man i
segni eterni.
La Mano e l'opra, o mio fanciullo, innalzano
argin non breve al cieco
andar del fiume,
nè tutto quel che s'inabissa perdesi
in oscuro
mistero o in vane spume.
Il Tempo passa, ma restìo sul margine
siede il pensier del navigante.
Ancora
il fuoco vive del lontan crepuscolo,
mentre già nasce la
novella aurora.
De' morti amori ancor le rose ridono
nelle canzoni e la pietade ordita

prega nel sacro arredo a cui la gracile
man della Santa consumò le
dita.
Il Tempo passa, ma nel marmo candida
palpita ancora calda alle
percosse
la bella Ninfa, che stancò di Fidia
la mano e i morti popoli
commosse.
Non men se l'ardua chiave intrudi ed agiti
nei giri arcani di ferrato
scrigno,
senti del morto fabbro uscir lo spirito,
che ti parla così dal
vecchio ordigno:

"Vivi nell'opra tua, garzon, se il vivere
ti piace e il viver breve anche
t'è grave:
0. in marmo o in tela o in un pensier recondito
0. di mestizia in un lavor soave
"agita i giorni del tuo Tempo e semina
nella speranza i frutti del tuo
cuore.
D'una pianta vitale all'ombra pallida
di cento vite rigermoglia
il fiore."
"PER QUARANT'ANNI PARROCO"
Questa nel vecchio sasso
D'un uom la storia, o grande Machiavello!

Ignoto oltre il cancello
Giace sepolto in un coi morti il tumulo

Nell'erba folta antica,
Che ondeggia ai colpi rigidi del vento:
E va
l'amara ortica
Per l'obliato muro a piacimento.
Costui di stridi e lagrime
Non fe' sua gioia, nè macchiò le mani
Nel
vil sangue del popolo,
Come sta scritto dei più chiari eroi:
Non arse
ville, nè gli piacque il mobile
Trofeo dei penzolanti corpi umani,

Come si legge ne' volumi tuoi:
Non dei tiranni coll'oblique insidie
Il
pallido coraggio
Sostenne e i nappi taciti di morte,
O crebbe illustre
di natura oltraggio;
Povero prete, il suo latin col povero
Divise e il
poco pane e l'umil sorte.
Di carte filosofiche
Non consumò nè raddoppiò volumi:
Nè dal suo
labbro balbettante uscirono
Dell'eloquenza i fiumi
D'oziosi grandi
alto sollazzo e noia:
Predicò, benedisse, al capo languido
De'
morenti arrecò l'ultima gioia,
Pregando a sè l'eguale in l'ultim'ora:

Cultor d'umili cose
Come chi per amor veglia e lavora
Nel picciol
orto egli incurvò le pallide
Mani tra i rovi e suscitò le rose.
Se non parlan di lui le larghe pagine
Che il volgo bacia ed ama,
Se
della rauca fama

Non vola alto il clangor, nostra è l'ingiuria:
Nostra
che il falso orniamo
Ed ai superbi alziam templi di lauro,
Mentre la
dolce ai vivi
Virtù nemmen sepolta adombra un ramo
Di lagrimosi

ulivi.
Taccia l'insulsa istoria!
Tu sola, o santa poesia, sei vera,
Che il vivo
senso delle morte cose
E i tenui affetti susciti
In mezzo all'ombre, ai
sassi, alle nemiche
Care al Silenzio e d'ogni ben gelose
Invidiose
ortiche.
Ove manchi il sospiro di Natura,
Irrigidite larve e di cuor
vuote
Stan le passate immagini
Di questa labil vita, che si oscura

Di giorno in giorno in disperato oblìo.
Amor, luce di Dio, le scalda e
scuote.
Sia gloria e luce all'ignorato atleta:
Se mai del pianto egli schiarì le
torbide
Fonti e dei vivi alleggerì le spalle,
Per quante sciolse dalla
rozza creta
De' suoi fratelli mistiche farfalle,
Per quel che disse e
tacque
E che non scrisse, o grande Machiavello,
Al vergognoso
avello
Sia pace e luce e gloria!
Di lui qual altro fu maggior poeta,
Di lui che tanto umano
Spirito
strinse nelle sacre dita?
Che val la morta mano
D'un re che impugna
un'asta irruginita
Di fronte a questa carità serena
Che dei più ciechi
osò guidare i passi?
Restino ai grandi i sassi;
Egli altro onor non brama
Di quel che
colla man leggiera e piena
In mezzo all'erbe il grato april ricama.
L'AGNELLINO DORME
Nell'ombra alta del frassino
Dove più l'erba è molle,
Dorme i sogni
innocenti:
Sogna la balza morbida,
Il verde ampio del colle,
I giochi e l'acque
garrule e lucenti.
Accanto bruca e vigila
La madre e sparsa giace
La greggia in suo
riposo:
Mentre un sonar di fistole
Sveglia nell'erma pace
Dell'imminente

sasso il Nume ascoso.
Dormi, agnellino! Il semplice
Spirto frattanto ignori
Quel che
prepara il cielo....
Or or giunse alla bettola
E cionca tra i pastori
Cieco d'un occhio un
uom dal rosso pelo.
Tonda la faccia ed ilare,
Nude le braccia, a sghembo
Sul ciglio alza
il cappello;
Mentre affilato luccica
Nel rovesciato lembo
Di sanguinosa tunica
il coltello.
Sogna, agnellino, e dissipi
L'alterne orrende voci
A te pietoso il
vento,
Perchè non scenda al misero
Tuo cor dei patti atroci
Nel traboccar
dei nappi lo spavento.
Il sangue tuo discendere
Dovrà prezzo del vino,
Ma tu, lieto, nol
sai....
Se non è dato il leggere
Nel prossimo destino,
Meglio è sognar così
come tu fai.
Perchè superbo e misero
Cerco al saper atroce
Dell'avvenir la sorte?
Passan le liete immagini
All'ombra della croce,
Che sulla culla ci
piantò la morte.
IL CONTADINO
CANTILENA
Di nostra vita sparge lentamente
Il mesto pan, più caro al ciel che agli
uomini,

Il contadin paziente.
Al gelo, al sole, al monte, al colle, al piano
Si
muove egual la bionda spiga a tessere
Del contadin la mano.
Quando beati sulla prima aurora
Sognano i
ricchi nelle piume morbide,
Il contadin lavora.
Se avvampa agosto torrido la testa,
A freschi lidi
i cittadini emigrano:
Il contadino
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