Vecchie cadenze e nuove | Page 3

Emilio de Marchi
di sibili le morte contrade.
Così d'una blanda memoria lontano?Discende la forza a un giovine cuore,?Così la carcassa di morbida mano?L'incendio vivifica d'un fervido amore,?Così dalle lagrime di muta pupilla?La fede d'un nobile coraggio scintilla?E scende infocato da pure sorgenti?Benevolo e forte il Genio alle genti.
Rallégrati, Italia!--non più della lorda?Fuliggine il limpido tuo cielo si oscura,?E manda il comignolo dall'ugola ingorda?Di nordica nebbia mal compra sozzura.?Per rupi e dirupi, per morbidi clivi?Correndo, saltando, tra lauri ed ulivi?Discende al tuo popolo da vette lontano?Sul raggio del sole men sudicio il pane.
Sia caro l'augurio! Se ancora feconda?Dal sasso deriva sì limpida e piena,?Se ancor nelle sabbie de' secoli abbonda,?O madre, la pura italica vena,?Sia caro l'augurio! l'umano destino?Dai cento ruscelli che versa Appennino,?Se al ciel non contrasti la sorte nemica,?Attenda una luce che vinca l'antica.
Qui dove dischiuse del morto metallo?I sensi e ne trasse gli spiriti ardenti,?Qui dove le forze nel ferreo cavallo?Più indomite strinse al cenno frementi,?Qui dove di nuovo miracolo ardito?Disdegna gli spazi del mondo finito?E sciolto dai lacci l'ignoto rischiara,?L'italico genio i tempi prepara.
A UN VINCITORE IN UN DUELLO
Or che l'orgoglio è pago e che le strette?Corser dei fidi amici e alfin respira?La bella, che ti spinse alle vendette,
Or che pende la spada e cessa l'ira,?Che a te discende per antica vena,?E rossa la tua gloria il mondo gira,
A te vien la mia Musa e una serena?Notte invoca di stelle all'agitato?Spirto sfuggito agli aspri colpi appena.
Umile ancella essa si pone a lato?Del letto, e mentre van ombre e perigli?Ti chiama al sonno il canto delicato.
A nova luce tu al mattino i cigli,?O signor, aprirai; ma se ghermiva?La morte il core coi feroci artigli,
A ben più nera e lacrimosa riva?Or scenderesti, ove il fratel si duole?Della ferita che il tuo ferro apriva.
Ivi non scende a colorire il sole?I soavi desiri e della cara?Vita son morte tutte le parole.
Nella palude senza fine amara,?Lugubre navicel, cerca e non trova?Ove sbattuta approdi ivi una bara.
E allora, o ciechi, il dolce amor che giova,?Che negli umani affanni il sole accende?Di vita in questa così breve prova?
Perchè da un cieco alto mister si scende?In questa valle inermi pellegrini,?Se nella rete sua l'odio ci prende?
Non come esigui e vani moscerini?Nascemmo intorno a un lume a far ronzio,?Ma per toccare agli ultimi gradini
D'un sacro tempio, ove il mortal desio?Trova riposo, dove l'uom sicuro?Di sua coscienza si abbandona in Dio.
Sia pace dunque, almen nel picciol muro?Che c'imprigiona in una mesta sorte,?Dove il sangue che cade è fango oscuro.
Tramontan presto le giornate corte?Del vivere ed ancor bianca è la sera,?Che già bussa nell'anima la Morte.
Allor ci sarà buona la preghiera?Dell'opra nostra, se con lampa accesa?Ci accompagni sull'ultima scogliera;
L'ira non già, non la fraterna offesa,?Non la vendetta, non dell'odio il vanto,?Non la minaccia, che sull'urna stesa
Nella tenebra eterna ulula il pianto.
ORA DI TEDIO
Non il piangere, no, tedio è il sentire?Morire in mezzo al core la speranza:?Non il morir, ma il non poter morire,?Quando non più che la memoria avanza.
Non l'onda umana, non la furibonda?Tempesta al marinar reca tormento:?Ma il deserto del mar senza una sponda,?Ma il legno infranto e non un fil di vento.
Non dir tu che la man stendi per via?Che il chieder pane è una miseria infame,?è più miseria, è più malinconia?Viver tra i vivi e non aver più fame.
Arder nel fuoco e far dal fuoco uscire?Una fiammante idea, gemer in croce?E dalla croce il mondo benedire?Come Gesù colla morente voce,
Questa che il cor distrugge od affatica?Od altra ancora più nemica sorte?Ti salvi dal languir misera ortica,?Non morto, no, ma segno della morte.
Pur ch'io senta il mio cor, fategli intorno?Di spine una corona e pur ch'io viva?Mi basta il breve luccicar d'un giorno?Di grande incendio scintilluzza viva.
IL TEMPO E LA MANO
Come il Tempo si uccida ah non mel' chiedere,?azzimato garzon, ch'io questo solo?conosco che la vita è un fil brevissimo?d'erba o più breve tra due fili un volo.
So che l'ora è una goccia, che dal vertice?scende al fiume per vie ridenti o cupe;?or rugiada d'un fior, or scarsa lagrima?ai dolori che spetrano la rupe.
So che il Tempo tra i doni è il sol che esiguo?Iddio comparte a' suoi figliuoli eguale;?ma quel che il perde al bell'ordito ingiuria?della sua tela povera e mortale.
Chè nel tessuto (e questo anche conoscere?i consigli mi diedero materni)?può ricamare ognun d'eterne istorie?con operosa man i segni eterni.
La Mano e l'opra, o mio fanciullo, innalzano?argin non breve al cieco andar del fiume,?nè tutto quel che s'inabissa perdesi?in oscuro mistero o in vane spume.
Il Tempo passa, ma restìo sul margine?siede il pensier del navigante. Ancora?il fuoco vive del lontan crepuscolo,?mentre già nasce la novella aurora.
De' morti amori ancor le rose ridono?nelle canzoni e la pietade ordita?prega nel sacro arredo a cui la gracile?man della Santa consumò le dita.
Il Tempo passa, ma nel marmo candida?palpita ancora calda alle percosse?la bella Ninfa, che stancò di Fidia?la mano e i
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