Una notte fatale | Page 9

R.A. Porati
Sampieri impazientito.
--Si tratta di far restare con tanto di naso un piccolo bellimbusto tedesco che mena tanto ruzzo perchè veste la divisa d'ufficiale.
--In che modo?
--Ecco quà, incominciò Marco assumendo una cert'aria d'importanza: la bettola all'insegna dell'Aquila a Porta Nuova è l'unico sito ch'io conosca in Milano ove se ne possa bere un boccale di quel buono e per questo, allorquando i miei doveri lo permettono, mi compiaccio passarvi qualche oretta giuocando una partita con mastro Andrea il degnissimo oste.
?Uno dei più fedeli frequentatori della bettola è un buon diavolo di croato che questi ladri tedeschi ci hanno menato giù da quelle parti dove usano farla da padroni come qui da noi.
?Parla abbastanza bene l'italiano e non essendo totalmente sciocco scambio con lui volontieri qualche ciarla, anzi mi tien luogo di mastro Andrea nella solita partita, allorquando questi è occupato altrove.
?Un giorno, era domenica mi ricordo bene, e la bettola piena, zeppa di gente.
?Io ci entro, do un'occhiata intorno e non trovo neppure un amico, tranne il mio croato che soletto in un canto trinca la sua caraffa.
?Piuttosto che rimanermi solo mi reco da lui. Bisognava che in quel giorno ne avesse bevuto qualche bicchiere più del consueto poichè non l'ho mai trovato così aperto e voglioso di far confidenze.
?--Oggi esser festa per me, mi dice tutto contento.
?--Lo credo, rispondo io, oggi è domenica per tutti.
?--Mia patrona, riprende lui, afermi tonata pel recalo e lasciala in libertà tutta giornata; oggi essere il suo... nomo... nomo... come dite foi... ah, suo nomastico.
?Povero diavolo si spiega come può.
?--Ma come avviene che tu abbi un padrone, gli domando io.
?Egli allora mi racconta essere lo staffiere d'un officiale polacco ed abitare il palazzo dirimpetto all'osteria.
?--Oh bella, non sapevo, dico io; e così come ti trovi col tuo padrone, non ti mancheranno certo bastonate, eh?
?--Mia patrona non esser catifo, mi risponde il croato, esser stata sempre pona con me, ma atesso che star innamorata difenire un po' pricante.
?--Ah, il tuo padrone è innamorato? diavolo, bisogna che la sua bella non sia troppo del suo parere se l'amore gli fa passare dei brutti quarti d'ora.
?Il croato parve d'un tratto pentirsi d'aver condotta la conversazione su questo punto e tentò deviarla; io allora insisto. Finalmente dopo d'averne ingollati ancora un paio di bicchieri egli mi spiffera tutto quanto sa sul conto del suo padrone.
?Ed è questo.
?Una mattina l'ufficiale vide la biondina recarsi al magazzeno; bisogna che quella fanciulla sia ben leggiadra di volto e di forme, poichè il polacco, come lei signor conte, se ne invaghì.
?Da quel giorno la bionda non mosse passo fuor di casa senza trovarsi al fianco la figura attillata del giovine ufficiale che la seguiva dovunque, tentando ogni mezzo per vincere quella ritrosia più o meno comune a tutte le donne.
?Non ci fu verso; la bionda che ora incomincio a credere un portento di virtù non fece mai mostra d'accorgersi di nulla, finchè lui vedendo che non era carne per i suoi denti abbandonò l'idea di sedurla, non certo io credo, la brama di possederla.
?S'immagini adunque come dovrà restare il nostro polacco allorquando saprà che quel fiore ch'egli non seppe cogliere ornò il petto d'un altro più felice mortale, lasciandovi tutti i tesori de' suoi olezzanti profumi.?
--Sta bene, esclamò il conte con soddisfazione; gli proveremo che le nostre donne le sappiamo tener per noi.
--E che volere è potere.
--Adunque la cosa è combinata, proseguì Sampieri col tuono di chi non ammette repliche. Sabato alle due di notte la fanciulla nel mio castello di Magenta, qualunque sieno i mezzi, anche i meno prudenti. Guai s'io dovessi attenderla invano....
E gli occhi del conte ebbero un lampo terribile.
--Per tutti i diavoli dell'inferno, signor padrone, ella sarà ubbidito, o ch'io non son più Marco.

CAPITOLO IV.
Se Giuda pel suo tradimento fu tormentato settanta volte, tu lo sarai settanta volte sette. GUERRAZZI.
Aspettato con ansia indicibile dal conte Alberto Sampieri, arrivò finalmente quel sabato fatale che doveva portare la disperazione nel cuore d'una povera creatura.
Sono appena suonate lo undici e mezza di notte; le stelle brillano sul firmamento; solo un grosso nuvolone contende il luminoso cammino della luna, nascondendone di tanto in tanto i pallidi raggi.
Le vie di Milano incominciano già a farsi deserte, le botteghe si chiudono con alternato battere d'imposte, i pubblici convegni scioglionsi a poco a poco, ed il buio della notte avvolgendo l'intera città nel suo manto tenebroso, sembra tutti invitare ad un dolce e tranquillo riposo.
Una carrozza signorile, trascinata da due vigorosi destrieri, cui esperto cocchiere mal frena gl'impetuosi slanci, muove da Porta Tosa, e percorrendo la via del Durino e attraversando il corso di Porta Renza*, entra nella via di S. Paolo.
* Porta Venezia.
Si avanza circospetta sin oltre la piazza Belgioioso, e approfittando da una curva disegnata dalla via, si ferma in tal punto dove la luce delle due opposte lampade non potendo efficacemente pervenirvi, lascia
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