fenomeno singolare. Egli domanda il sessanta per
cento con una gentilezza ammirabile, accompagna una proposizione
diabolica con uno sguardo soave, nega la verità con un suono di voce
armonioso, e ordisce una furfanteria senza alterare la serenità della
fronte. Neppure i rabuffi e gli strapazzi ai quali è soggetto possono
intorbidirlo; e dare ai suoi lineamenti una contrazione disgustosa.
Quando è chiamato in giustizia, egli si atteggia sempre come un pover
uomo calunniato, come una vittima innocente e rassegnata. Le varie
condanne che ha subito non valsero ad emendarlo, ma a renderlo più
cauto e più sbirbato nelle sue imprese. Tribolo esercita l'usura in
piccolo, vale a dire impresta delle somme sottili e restituibili a brevi
scadenze, ma l'interesse non manca di essere enorme. Un povero
falegname, per esempio, abbisogna di trenta lire onde comperare delle
assi? Tribolo gli dà le trenta lire, col patto che in capo a due settimane
avrà la restituzione di quaranta. Imprestando il lunedì dodici lire ad un
cenciajuoio, ne riceve quindici il sabato, compreso il prezzo del suo
servigio. Una serva, un cameriere d'osteria, un garzone di caffè o altro
tale individuo che aspetta un collocamento, ricorre a Tribolo per avere
una sovvenzione sul suo futuro salario, e Tribolo pieno di compiacenza
lo contenta alle condizioni che potete indovinare dietro le norme che vi
ho date. Voi non potreste però indovinare le condizioni riguardanti le
somme che egli impresta alle donne di mal affare per comperarsi uno
sciallo, un cappellino od altro oggetto di vestiario, di cui dicono avere
urgenza. Allora l'usura è favolosa, incredibile, senza esempio. Tribolo
non perde quasi mai il suo danaro, grazie al tatto sopraffino che egli ha
per conoscere le persone a cui lo presta, e le circostanze in cui si
trovano. Per indurlo a sborsare un fiorino bisogna che egli veda chiaro
quali mezzi di guadagno o quali future risorse abbia il debitore da
offrirgli come garanzia. Un raccoglitore d'immondizie è sicuro di
ottenere un prestito, purchè si mostri proprietario libero ed assoluto
d'una certa quantità di letame da vendersi prossimamente.
Quali sono gli altri abitatori attuali di questa casa? Un conciatore di
pelli, un sarto che aggiusta e trasforma abiti frusti, un fruttajuolo
ambulante, un beccamorti, un suonatore girovago, due o tre cialtroni
oziosi, altrettante donne di vita problematica, e qualche vecchietta che
fila o lavora di calze. A questa ciurmaglia appartengono dodici o
quindici ragazzi d'ambo i sessi, creature mal nutrite, sucide, pezzenti,
riottose, piene di audacia e di malizia. La maggior parte non vanno a
scuola nè a bottega, ma birboneggiano il dì e la sera sulla Piazza
Castello e nei dintorni. Uno di costoro, che ha appena nove anni, è il
più tristo monello che si possa immaginare. Con una cassetta di
zolfanelli sospesa al collo egli gira i caffè e le osterie, vendendo la sua
mercanzia e domandando l'elemosina a chi gli pare di benevolo aspetto.
Se l'occasione si presenta, egli trae leggermente un fazzoletto dalla
tasca altrui. Non di rado si ferma con altri piccoli furfanti a trafficare il
soldo al giuoco, e quasi sempre li spoglia dopo averli ingannati e battuti
per giunta. Egli non rientra mai prima della mezzanotte, e guai a lui se
non presenta a suo padre molti avanzi di sigari raccolti qua e là da terra,
o domandati ai fumatori stando alla porta dei teatri.
Le bestemmie e le imprecazioni che si odono, le baruffe e gli scandali
che succedono nel cortile e sopra le loggie di questa casa, le scene di
violenza, di vizio e di miseria che hanno luogo nelle camere, i ceffi
paurosi che s'incontrano negli anditi ammuffiti e lungo le scale anguste,
le figure abbrutolite dall'inedia o dall'abuso dei liquori che vanno e
vengono per questa porta metterebbero i brividi e la confusione fra gli
ottimisti che magnificano la civiltà e le dolcezze dell'attuale progresso.
No, signori ottimisti e panegiristi del benessere e della moralità del
popolo, voi dipingete le cose come se fossimo tornati al secol d'oro, ai
tempi beati dell'innocenza e della felicità universale. Suvvia, non
esagerate il bene, e non dissimulate il male. Certamente Milano ha una
quantità di stabilimenti filantropici e di buone istituzioni che
nessun'altra possiede. I ricoveri dei bambini lattanti, gli asili
dell'infanzia, le scuola elementari dominicali, quelle di arti e mestieri,
gli orfanatrofi, gli ospizi d'ogni maniera, il patronato pei liberati dal
carcere, i luoghi di ritiro per la gioventù pericolante, gl'istituti
elemosinieri, ed altre emanazioni della carità milanese sono invero
sante provvidenze e meritevoli d'ogni benedizione. Tuttavia siamo
lontani che tutti i bisognosi possano o vogliano parteciparne, e quindi
lontani che la miseria e il mal costume siano distolti. Su tale argomento
non bisogna dunque illudersi nè illudere gli altri. Lodiamo pure la
generosità di chi ha innalzato e di chi mantiene questo grande edificio
della pubblica
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