Tre racconti sentimentali | Page 6

Paolo Bettoni
talleri che ho imprestati a tuo nonno. Questo malanno accaderà ben tosto, e tu avrai a rimproverarti di non averlo impedito mentre lo potevi, giacchè era mia intenzione di assolvere il debitore, se tu fossi stata docile a quanto ti veniva proposto.
Cecilia se ne andò tutta intimorita per la minaccia di Tribolo, pensando con sorpresa al debito del nonno, che essa ignorava. Tuttavia non disse nulla in casa, perchè delle afflizioni e dei guai ve n'erano abbastanza. Da cinque o sei giorni la mancanza d'ogni cosa necessaria si faceva crudelmente sentire. La madre si era alquanto ristabilita in salute, ma il lavoro le era venuto meno. Antonio, per quanto s'ingegnasse, non riusciva a procurarsi che pochi centesimi, e Cecilia riscuoteva la scarsa mercede del suo lavoro in fine di settimana. Il freddo era rigoroso, e si penuriava di legna, di vestito e di calzatura. Il pane a rigor di termine mancava. Cecilia diventò pensierosa, taciturna, e sbandì affatto il riso dalle labbra. La poveretta paventava di vedersi da un momento all'altro sequestrata, per ordine di Tribolo, la poca roba buona che ancora rimaneva in casa. Essa pensava che avrebbe potuto allontanare quella nuova sventura, e rimediare in parte alle altre che travagliavano la sua misera famiglia. Quantunque abborrisse da questa idea vergognosa, pure doveva ascoltarla suo malgrado, perchè le assediava la mente in casa, lungo la strada e durante il lavoro.
Una sera, verso la fine di gennajo, la fanciulla, tremante dal freddo e colla fame in corpo, veniva dalle sue occupazioni ed entrava nella sua squallida camera, sperando di scaldarsi un poco e di sedere alla povera cena consueta. Non vi era nè fuoco nè cibo di sorta. I due fanciulli non erano andati quel giorno alla scuola infantile per la molta neve caduta e per le loro scarpe estremamente sdruscite. Laonde avevano perduta la solita minestra dello stabilimento, e piangevano di fame. La madre, che pativa per sè medesima e per essi, procurava di consolarli, dicendo loro che la provvidenza non avrebbe tardato a venire. La provvidenza era il nonno Antonio, che fino dal mattino lavorava a sgombrare le strade della neve per guadagnarsi una lira dal Municipio. Cecilia stette seduta alquanto in un angolo, col cuore angosciato e col capo nascosto in grembo. Quivi si levò improvvisamente, e disparve della camera. Quando rientrò, dopo cinque minuti, parve lieta ed espansiva, fece coraggio alla madre, baciò i fratellini, e disse che il domani le cose sarebbero andate meglio. Questo buon umore non durò che pochi istanti per dar luogo al più tristo abbattimento. La fanciulla impallidì, ricadde nel silenzio e, grado grado, passò dai sospiri al pianto. La madre, stupefatta ed inquieta di tale contegno, si fece ad interrogarla ora con dolce ed ora con severa insistenza, e venne a sapere la verità. Cecilia, nella sua disperazione, era corsa da Tribolo per dirgli che il giorno vegnente si sarebbe venduta all'uomo che la chiedeva. Qui ebbe luogo tra la madre e la figlia una scena delle più commoventi. Nè l'una nè l'altra non avevano più fame nè freddo, ma strettamente abbracciate piangevano quelle lacrime sante che il pentimento di un obbrobrioso consiglio, l'idea della virtù in pericolo, e l'orrore di una colpa non ancora consumata fanno versare alle anime buone. La madre sentiva di non aver mai tanto amato la sua figlia come in quel momento solenne che la teneva ancor pura fra le braccia, e salva della caduta. La figlia sentiva più vivo l'affetto verso la madre, perchè le aveva aperto gli occhi e compatita del suo traviamento. Non vi era bisogno di rimproveri, giacchè la fanciulla col rossore del viso, col tremito della persona e colla voce spezzata dai singulti, manifestava abbastanza il suo pentimento, e faceva credere che anche di proprio impulso avrebbe rigettata quel reo partito preso in un istante di disperazione. Intanto comparve Antonio mezzo intirizzito, ma tuttavia sorridente e contento di poter deporre sulla tavola due grossi pani di mistura, alquanti pomi di terra cotti, tre once di zucchero ed altrettante di formaggio. La carta che involgeva lo zucchero non aveva nulla da invidiare per grossezza e grandezza a quella che involgeva il formaggio. Sì l'una che l'altra dovevano pesare un quarto della merce contenuta. I signori pizzicagnoli e droghieri non si fanno scrupolo di vendere così la carta dieci volte più del suo valore, e di affibbiarne la maggior parte ai poveretti che sogliono comperare i generi al minuto.--Ecco qua, disse il buon vecchio mostrando la provvigione, ecco qua la spesa fatta col guadagno delle mie braccia, che hanno ammucchiato non poca neve. Domani e l'altro vi sarà lo stesso impiego, giacchè non cessa di fioccare allegramente. Ogni giorno di lavoro una svanzica, e per bacco non c'è male, quantunque si abbiano le mani ed i piedi gelati durante dieci ore. Animo
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