Tre racconti sentimentali | Page 4

Paolo Bettoni
colla scusa sincera della propria impotenza a pagare, o coll'audace pretesto che essi non avevano già domandato di farsi debitori. Antonio avrebbe accettato un'elemosina, ma pensava che un prestito gli avrebbe turbata la quiete e levato il sonno. Dopo alcuni giorni accadde che sua figlia si ammalò in conseguenza del troppo lavoro, e dell'affanno sofferto per la morte del marito. Egli si sentiva straziare l'animo al vederla priva di cibi sostanziosi, con una coperta leggera sul letto e coi lenzuoli laceri, perchè i buoni erano stati messi in pegno. Allora si ricordò dell'offerta fattagli da Tribolo, e non potè resistere alla tentazione di giovarsene per provvedere ai bisogni dell'ammalata. Contraendo questo debito, egli si proponeva di nasconderlo alla famiglia, e di pagarlo quando avrebbe radunata la somma col deporre in un salvadanajo ciò che potrebbe spizzicare da' suoi eventuali guadagni. Ci voleva molto tempo a mettere insieme due talleri soldo a soldo, ma egli si ricordava altresì di potersi pigliar comodo alla restituzione. I due talleri furono sborsati da Tribolo con un piacere, che Antonio non provò l'eguale a riceverli. E sì che il buon vecchio vedeva in quelle monete il mezzo di confortare la sua cara figlia. Giacchè non voleva dire d'averle avute in prestito, bisognava che inventasse una favola per giustificare la loro provenienza. Egli entrò dunque facendole ballare in mano, e dicendo tutto allegro che la provvidenza gli aveva fatto vincere un ambo al lotto. Sì, un ambo al lotto, replicò egli per dissipare l'incredulità della figlia. Io non giuoco mai, è vero, ma questa volta mi venne l'inspirazione di giuocare i numeri di un sogno, e la fortuna mi ha favorito. Grazie a tale fandonia, l'ammalata si consolò, i lenzuoli furono disimpegnati, e per qualche giorno v'ebbe in casa provvigione del necessario.
Cecilia, la nipote di Antonio, l'operaja alla fabbrica dei tabacchi è una bella fanciulla, bionda di capegli, bianca di carnagione, e delicata di forme come una figlia di nobile razza. Non dispiaccia alle contessine e alle marchesine questa mia asserzione, e non l'abbiano per ardita e profana, essendo una verità incontrastabile. Anzi vi sono contessine e marchesine meno bianche e meno delicate di lei. Se vogliono assolutamente aversene a male del paragone, pensino per calmarsi, che Cecilia porta i zoccoli di legno ed una veste di cotone rattoppata, che mangia pane bigio quando ne ha, e che lavora a fare quei sigari che per avventura sono fumati dai galanti giovinotti che aspirano alle loro grazie.
La venuta di Cecilia in questa casa aveva destato la curiosità, la maraviglia e l'interessamento di tutti i pigionali. Uomini e donne parlavano della giovinetta bionda, spiavano l'occasione di vederla, di salutarla e di fare la sua conoscenza. Dire i pettegolezzi, i comenti e le supposizioni fatte pro e contro di lei, sarebbe cosa impossibile. Della sua bellezza tutti convenivano, e della sua virtù i buoni soltanto. Chi era cattivo, la somigliava a sè stesso, per la sola ragione che abitavano sotto il medesimo tetto. I buoni si consolavano di aver comune con lei l'abitazione, parendo loro che la sua presenza ne avrebbe purificato l'atmosfera infetta. I cattivi volgevano nell'animo pensieri e disegni proprj della loro natura. Due mariuoli si proponevano di sedurla, ciascuno per suo conto, e principiarono sfacciatamente le loro manovre. Una vecchia peccatrice le sorrideva e cercava di amicarsela colla mira di darla in braccio a qualche libertino che pagasse bene il servizio. I più discreti si contentavano, incontrandola, di farle un vezzo villano, e di dirle certe parolaccie che la facevano arrossire come una bragia. Povera colomba, fra quali corvi era caduta!
Il più astuto e maligno di questi corvi era Tribolo, il quale per circuire ed insidiare una preda nessuno lo superava. Non è già che egli fosse invaghito di Cecilia, e che operasse per soddisfare una sua voglia amorosa. Tribolo non aveva nessuna inclinazione per le donne, e fossero pur belle come Venere, non gli destavano il più piccolo desiderio. La sua grande ed unica passione, quella che gli teneva luogo di tutte, era l'amore del danaro. Egli dunque insidiava Cecilia per commissione altrui; era il bracco del cacciatore. Un ricco bottegajo dei dintorni aveva veduto la fanciulla, e concepito un'ardente brama di possederla a suo modo. Costui apparteneva alla specie di quegli attempati libertini, che la morte soltanto può guarirli della lussuria. Uomo dai quarantacinque ai cinquant'anni, grosso e tarchiato, colla faccia salsedinosa e bernoccoluta, goffo di parole e di maniere, non aveva altro mezzo di vincere una donna fuorchè quello delle monete. Laonde tutte le sue conquiste erano fatte nella classe delle giovani bisognose, e per mezzo ancora di torcimani, che parlassero in suo favore, e le disponessero alla caduta. Questi preliminari erano indispensabili, altrimenti volendo mettere innanzi la sua figura e trattare da sè la propria causa, non sarebbe riuscito a nulla. Eppure
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