è l'oro di re Filippo. Regnate nella taverna e sulle
donne vostre!... (i Commessari soddisfatti, escono sul terrazzo, e
discendono al mare).
SCENA VI.
TINTORETTO solo.
(baciando la figlia) È l'ultimo bacio nella casa dove se' nata! (la
compone, le si inginocchia vicino, si solleva). È l'ultima alba!... Guarda
se ancora luccica la tua stella!... (la drizza sui guanciali, le alza la testa,
e fissa pel finestrone.... Dal terrazzo si vedrà sfilare sull'acqua
un'immensa processione di lumi, lentissima, imponente).... Che è?... È
il funerale di Tiziano! (chinandosi sulla figlia). Tutto è finito! Famiglia
ed Arte!
SCENA ULTIMA.
MARCO(3), dalla scala di terra, sale al terrazzo, lo attraversa
frettolosamente e giunge all'uscio: sta in sospeso per la gioia: trova
semiaperto ed entra.... Il TINTORETTO gli viene incontra, reggendo
la figlia sulle braccia.
TINT. Non è più tua! Ella è d'Iddio e dei posteri!
* * *
L'Ugo, che l'autore dedica alla sua prima amarissima delusione, è la
prima parte d'un romanzo sul secolo X, che vide la luce nella Vita
Nuova. Il genere astruso dell'argomento e dello stile stancò i lettori del
giornale abituati al facile leggere. Raccolto poi in un volume, la critica
l'addentò colla sua solita inconsulta voracità(4). Il Bazzero ne restò
tanto conturbato che non volle più continuare. Rileggendolo in questi
mesi ho risentito ancora il sentimento faticoso della prima volta, ma se
l'affetto non mi fa velo, credo che vi siano in queste 130 pagine,
cinquanta almeno degne d'un grande scrittore. E non sarebbero poche
per un libro! Che tempi fossero quelli ch'egli vuole descrivere, ce lo
dice presto in un modo vivo e incisivo:
"Erano quelli i tempi in cui un cavaliere noverava, come un sellaio, le
fibbie e i chiodi della sua sella da battaglia e neppure sbagliava in un
sopranome a quegli arnesi e forse forse moriva senza tutto avere
appreso il paternoster dalla bocca della madre o del chierico: tempi in
cui, io credo, che la natura non si sarebbe messa su via fallata, se avesse
ai priminati delle famiglie baronali dato a vece di cranio addirittura un
elmo, a vece di lingua una lama, e per cervello qualcosa di bollente che
fuori uscisse e fosse mostruoso cimiero. Io non so se ancora allora i
bambinelli si tormentassero colle fasce: se così fosse stato, non mi
sarebbe punto di maraviglia se anche trovassi nelle cronache che la
madre di Garmario saluzzese, madonna Sandra, torturasse le membra
del suo figliuolo, serrandole in una bandiera insanguinata, o che il
padre di Forcone da Ivrea recasse al castello per la bisogna materna
della sua moglie Ageltruda la soprasberga dell'inimico bucata e
ribucata a colpi di spada: l'avo Attone da Susa legò con sacramento ai
nascituri dal suo Rogerio il lembo stracciato a morsi della sozza
camicia che vestiva nella torre della fame. Messer Adalberto era
primogenito, ed aveva avuto madre come l'ebbe Garmario, padre come
quello di Forcone, ed avo della taglia di Atto. Finchè vissero i suoi,
imparò che nelle sale feudali l'agnello santo del perdono ci sta figurato
solo per spasso di qualche frate dipintore, il quale fa il mestiere, è
pagato, e se ne va dal ponte: imparò che negli steccati dei giuochi
d'arme, se le cadute da cavallo v'incarnano gli anelli di maglia nelle
membra, perchè la lancia dell'avversario vi coglie, è meglio che quelli
vadano fino al cuore a condensarvi dentro tutto l'odio, e questa vi
avesse passato fuor fuora, senza accorgervi di provare vergogna!
Imparò che le dita ci furono date da natura per contare le vendette da
farsi: segnar croce colla penna è da monaco, tagliare colla spada da
cavaliere: si vive collo usbergo maledetto, si muore coll'abito
immacolato di qualche monistero."
Ugo è un tessuto di scene, una successione di quadri storici, di figure
riprodotte dalle cronache, di atteggiamenti che sembrano scolture, di
truci spettacoli, incisi con uno stile di ferro.
La lettura non ne è facile come dell'elegante prosa del D'Annunzio e
della lucida scuola degli Abruzzesi, ma è una prosa nutrita di studii e di
forti riflessioni, che durerà, io mi lusingo, nel giudizio dei buongustai,
più del tempo che dura una moda.
Ecco come il Bazzero vi dipinge le sue figure.
Dopo aver letto sono tubae il bando pasquale ai vassalli, l'araldo
Guidello e il chierico Ingo, poco lieti delle mancie ricevute, si
allontanano così:
"E mossero giù dalla scalea della chiesa. La piazzuola della curte era
deserta. Essi presero ad uscire dalla viuzza fiancheggiata dalle casucce
dei montanari, oggi boscaiuoli, domani alle giornate d'armi, sempre
poveri e sempre irosi. Intorno all'edera frusciavano con volo tortuoso le
nottole; gli usci erano chiusi, gli arconcelli delle finestre lucenti di
strisce rosse dal sotto in su, che venivano dai focolari posti in mezzo
alle stanze; sullo sfondo si vedeva una montagna già sfumata nella
nebbia del crepuscolo.
I nostri
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