Poesie e novelle in versi | Page 2

Ferdinando Fontana
sull'Eterno Nulla il piede
appoggiano;
È celiar con sè stessi e con coloro
Che vi sanno
ammirar nelle canzoni;
È accettare, negando, il Bene e il Male;
È
desiare la miseria e l'oro,
La reggia e l'ospedale.
Esser pöeti è tentar l'ocëano
Della vita; è svelarlo; è, ansanti, correre

Dietro un caro idëal.... cui non si crede!
È comprender del tutto il
nulla arcano,
E, d'ogni cosa quaggiù disperando,
Trovare ancora
entusïasmo e fede
Per vivere cantando.
Esser pöeti è abbandonarsi ai sensi;
È compendiare un secolo in un
distico;
È mutar l'alimento del mattino,
A vespro giunti, in voli
eccelsi, immensi....
E, invero, questi versi sono usciti
Dalle vivande
o dal preteso vino
Che l'oste m'ha imbanditi.
LA FORMA E L'IDEA
(A EMILIO PRAGA)
La forma son le tenebre,
E la luce è l'Idea;
La Forma è il rito, il
simbolo
Del pensiero che crea;
Il pensiero è l'Iehova
Dei veggenti
profeti
Che parla dai roveti.,
E la Forma è Gesù.
La Forma è la
parabola,
La Forma è il pane, è il vino,
È l'orto, il bacio, il Golgota,

È la Croce, è Longino;
E il pensiero è l'assiduo
Svolgersi del
crëato,
Cui spiegar non è dato
Alle menti quaggiù!
Eterna lotta!.... Scorgere
L'Idea!.... Vedere il sole!...
E disperar
d'esprimerlo
Con possenti parole!
Nelle affannose veglie


Concepir l'universo....
E alla foga del verso
Non saperlo svelar!

Dietro un fatal connubio
Il cervello si stanca!....
Giunge lo sposo al
tempio,
Ma la sposa vi manca;
Egli, il Pensiero, l'évoca
Colla
voce pietosa....
Ma la Forma, la sposa,
Non si reca all'altar.
Ahi!.... Talora nel cranio,
Indarno affaticato,
Disperando, un
terribile
Dubbio m'è balenato!
Pensai che forse esistono
Idee sì
vaghe e arcane
Che invan le menti umane
S'attentano a scolpir!

Forse passò fra gli uomini
Il sommo dei pöeti
Fra la schiera dei
mutoli
E degli analfabeti....
E, forse, il suo silenzio
Fu incompresa
epopea,
In cui sfuggì l'Idea
Della Forma il martîr!
Ah!.... Perché, dunque, struggerti,
O povero cervello?
Contro la
Forma, il despota,
Sorgi, schiavo rubello!
Non ti curar degli uomini!

Vivi in te stesso e pensa!....
La tua melòde immensa
Non rivelar
che a te!
Chiuso nel tuo silenzio
Ogni idïoma oblia!
Del tempo e
dello spazio
Comprendi l'armonia!
Ogni idïoma e frivolo
A
esprimer l'Universo!
Nato a servire un verso
Il mio pensier non è!!
Evvia!.... Sorridi, Emilio!....
Sorge nel Ciel l'aurora,
E, solitario, io
vigilo
Sulle mie carte ancora!

Stolto!.... Giuro il silenzio,
E ti
favello intanto!....
Stolto!.... E rileggo il canto
Che la mia man notò!

Emilio, io voglio illudermi!
Sono troppo felice!
Mi risveglio da
un'estasi
E il pensiero mi dice:
"Stretto è il fatal connubio!

"Chiudi gli occhi e riposa....
"Questa notte la sposa
"All'altar si
recò...."
Milano, giugno 1875.
NOJA LETTERARIA
Favello a voi, cui ferve la scintilla
Dei febbrili entusiasmi nel cervello;

Favello a voi, dentro il cui sguardo brilla
La balda gioja d'un
pensier novello!

Favello a voi, che, frammezzo alle genti,
Vecchi a vent'anni, in
silenzio passate,
Colla pupilla vólta ai firmamenti
E colle mani alle
reni appoggiate.
Favello a voi, cui nota è l'armonia
D'ogni cosa creata, e cui son noti

Cogli entusiasmi la melanconia
E gli sconforti; a voi favello, iloti,
Dannati a conservar la stessa creta
Leggendo dentro ai secoli venturi;

Dannati a scorger la splendida meta
Dietro le grate di carceri
oscuri!
Favello a voi, per cui dolore e gioja,
Pari al lampo, non duran che un
istante,
E che desiate, per fuggir la noja,
Un'angoscia od un gaudio
incessante;
Favello a voi, che vivete com'ebri
D'un arcano licor sovra la terra,

Ed avete un uncino nei cerébri
Che l'Universo nei suoi moti afferra!
Noi siam mendíchi, a cui la gente antica
Le briciole lasciò di lauta
mensa;
Viviam di stenti e il genio s'affatica
Dietro una turba di
fantasmi immensa.
Gli antichi Numi, ispirator dei carmi,
Son morti nel sogghigno
universale;
La Natura ci annoja; il suon dell'armi
Ne spaventa;
ridiam dell'idëale;
L'amore è un campo in cui non resta zolla
Da fecondare; senza
scrosci è l'ira;
Il nostro corpo e una corteccia frolla,
Mentre la
mente a nuovi cieli aspira.
E nuovi cieli, splendidi, profondi
Come lo spazio, immaginar n'è
dato....
Ma dall'estasi, a cui traggonci i mondi
Senza cifra, un poëta
non è nato!
I nostri canti son feti già morti;
Sono la serpe che la coda addenta;

Son l'urna ove troviam pochi conforti
E la febbre che i giorni ne

tormenta.
Noi li cantiamo a noi stessi soltanto,
E all'ultimo levita siamo eguali,

Che, derelitto nel suo tempio santo,
Celebrerà da solo i ritüali....
E non ci resta che cingere i fianchi
Col bigiastro mantel del
pellegrino,
E correre la terra erranti e stanchi,
E abbandonarci ad un
pazzo cammino....
Milano, luglio 1875.
LETTERATURA DISONESTA
A CESARE TRONCONI [1].
Que la muse, brisant le luth des courtisanes,
Fasse vibrer sans peur
l'air de la liberté;
Qu'elle marche pieds nuds, comme la verité.
ALF.
DI MUSSET.
Dunque perchè le pagine
Noi modelliam sul vero;
Perchè neghiam
di battere
Ogni volgar sentiero;
Perchè volgiamo intrepidi
Le
pensierose fronti
Alla più vasta cerchia
Di splendidi orizzonti;
Dunque perchè l'indagine
I nostri libri ispira;
Perchè i costumi
ipocriti
Ci fanno schifo ed ira;
Perchè, toccando l'ulceri,
La nostra
man non trema.
D'insultatori un popolo
Ci scaglia l'anatema!?
Scosso all'ingiusto oltraggio,
Tu ti contristi e piangi:
Nelle dolenti
veglie
Fremi e la penna infrangi;
E, forse, al melanconico
Ingegno
tuo tu chiedi
Se un mondo immaginario
È quel che ascolti e vedi!
Me pur gli insulti colsero
Dei grulli e dei perversi,
E, inesperto
degli uomini,
Un tempo anch'io soffersi..
Allor pensai che inutile

Pazzia sono i miei canti,
Che un vano desiderio
È il vincere i
pedanti!

E mi tentò, nell'aride
Mie notti d'apatia,
La vile idea di scegliere

Men faticosa
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